“Politica e tifo sono sempre più intrecciati e il colore è il nero”
Le curve degli stadi italiani sono ormai dominate quasi tutte dalla destra o dall'estrema destra. Intervista a Paolo Berizzi, autore di "NazItalia".
Paolo Berizzi è un giornalista, scrittore. Cronista del quotidiano la Repubblica, dove inoltre cura una rubrica in cui racconta periodicamente episodi di razzismo e intolleranza.
I suoi libri e le sue inchieste penetrano in profondità nella ‘galassia nera’ dell’estremismo di destra italiano. Con il suo lavoro da vent’anni denuncia questi gruppi, la loro propaganda, la loro matrice profondamente violenta, le loro azioni squadriste, i pestaggi.
Un giornalista scomodo al punto che è stato eletto, da molti gruppi neofascisti o neonazisti, a nemico ‘mediatico’ pubblico. Paolo Berizzi vive da un anno con la scorta armata in seguito alle sistematiche minacce e alle aggressioni subite da parte di questi gruppi. Uno dei pochissimi casi in Italia di protezione dello Stato per motivi politici. Un giornalista minacciato da organizzazioni neofasciste o addirittura neonaziste che per la legge italiana non dovrebbero esistere. Gruppi che lo Stato dovrebbe e potrebbe sciogliere. Organizzazioni sotto processo in alcuni casi per tentata ricostituzione del partito fascista. In altri casi proprio per le aggressioni rivolte a Paolo Berizzi.
La scorsa estate, gruppi di destra estrema riconducibili a Forza Nuova e alla curva ultras dell’Hellas Verona hanno tentato di impedire la presentazione del suo ultimo libro “NazItalia. Viaggio in un paese che si è riscoperto fascista”, edito da Baldini&Castolti nel 2018.
In un primo momento attraverso una petizione online promossa da un consigliere comunale di Verona – vicepresidente della commissione cultura – per negare la concessione della sala in cui era prevista la presentazione del libro. Poi con una mobilitazione di piazza mirata ad impedire fisicamente l’evento. Facendo diventare il libro NazItalia un problema di ordine pubblico.
Altri sviluppi
La deriva razzista che inquina il calcio italiano
tvsvizzera.it: Si può dire che le tifoserie facinorose da cui partono gli insulti razzisti sono legate alla politica ed in particolare alla destra?
Paolo Berizzi: Si è così, per la quasi totalità, oggi le curve ultrà sono connotate politicamente a destra o addirittura all’estrema destra. Non è un fenomeno nuovo, è così da anni, ma c’è stata una progressione ulteriore nell’ultimo periodo e purtroppo son tornati gli episodi di razzismo, simboli neonazisti, antisemitismo.
Quindi non deve meravigliare se questi episodi accadono in stadi o curve in mano a gruppi ultrà dichiaratamente di estrema destra. Vedi il caso del Verona, vedi gli episodi di antisemitismo di neofascismo delle curve romane, della Lazio, della Roma. La stessa cosa accade a Milano con la curva dell’Inter ma anche ormai quella del Milan che un tempo era tutt’altro che di estrema destra e quindi si, questo è lo scenario.
Viceversa, alcuni esponenti politici di estrema destra, facilmente, si ritrovano negli stadi? Cosa ne pensa di questo doppio ruolo?
Si può far l’esempio di Luca Castellini, capo ultrà della curva dell’Hellas Verona e allo stesso tempo coordinatore per il nord Italia di Forza Nuova, un doppio ruolo: capo politico e capo ultras. La militanza politica si intreccia perfettamente con il tifo, in questo caso di una curva che da sempre è di estrema destra.
Come Castellini ce ne sono tanti altri, gruppi politici di estrema destra: Forza nuova, Casapound, la Comunità militante dei dodici raggi di Varese, Fortezza Europa, Lealtà azione. Sono tutti di gruppi di estrema destra, neofascisti, addirittura alcuni anche neonazisti. E hanno delle emanazioni all’interno degli stadi, nelle curve di squadre di sere A, B o C a seconda dei casi.
Quindi politica e tifo sono sempre più intrecciati e il colore è il nero. È una sovrapposizione di ruoli e di ambienti. Abbiamo da una parte la politica, le piazze, le sezioni, i partiti e dall’altra abbiamo le curve degli stadi, sono due cose che si sovrappongono sempre di più.
“Abbiamo da una parte la politica, le piazze, le sezioni, i partiti e dall’altra abbiamo le curve degli stadi, sono due cose che si sovrappongono sempre di più”.
Come mai la sinistra ha abbandonato gli stadi? Anche a Roma dove prima c’erano i CUCS (Commando ultrà curva sud) che erano di sinistra. Non è curioso?
Si, la sinistra ha abbandonato il campo. Ha citato i CUCS ma penso per esempio anche ai Fedayn (il nome è stato preso da un gruppo terroristico di liberazione palestinese degli anni ’70 ndr) che recentemente mi hanno dedicato uno striscione appeso nei pressi dello stadio Olimpico di Roma, dove mi insultano per una delle ultime inchieste che ho fatto sul tifo organizzato e l’estrema destra. Un tempo erano un gruppo di sinistra, oggi non lo sono più e sono diventati per buona parte un gruppo in mano, anche qui, a personaggi legati all’estrema destra e al neofascismo.
Questo è accaduto in molte piazze italiane a tal punto che le curve “di sinistra” oggi sono paragonabili a delle riserve indiane, mi viene in mente quella di Livorno e pochissime altre.
Gli stadi sono lo specchio della società, è accaduto negli stadi quello che è in parte accaduto per il movimentismo giovanile. Per la presenza della sinistra nelle periferie. Anche lì si è lasciato il campo, dal mio punto di vista colpevolmente. Si sono lasciati questi spazi ai neofascisti, a gruppi e organizzazioni di estrema destra, sia nelle periferie che nei quartieri e anche negli stadi di calcio.
“Gli stadi sono lo specchio della società, è accaduto negli stadi quello che è in parte accaduto per il movimentismo giovanile”.
I principali club di serie A si sono uniti per contrastare la deriva razzista. Cosa ne pensa?
Tutto ciò che va in direzione della lotta, del contrasto al razzismo, della discriminazione ben venga.
Dopo di che, proprio in queste ore noi abbiamo pubblicato sul nostro sito repubblica.it un audio in cui De Siervo, l’amministratore delegato della Lega serie A, ha detto testualmente, parlando dei cori razzisti negli stadi: “Spegniamo i microfoni così non si sentono”. Come se la discriminazione fosse solo un problema di immagine e non invece una piaga culturale, sociale. Si invoca la censura per nascondere sotto il tappeto, sotto la sabbia, un fenomeno che invece va combattuto e contrastato non certo spegnendo microfoni ma andando a punire chi lancia i cori razzisti.
De Siervo si è difeso dicendo che non ha in mente una censura o di nascondere la cosa ma, al contrario, di raccontare la bellezza del calcio.
Ma la bellezza del calcio da quel punto di vista la racconti se ripulisci gli stadi dal razzismo, dal neofascismo, dall’antisemitismo, da chi discrimina qualcuno per il colore della pelle o per il suo paese di provenienza.
I cori razzisti devi eliminarli, sradicarli e non è un problema di volumi o dei tasti on/off dei microfoni. È un problema culturale, sociale che va combattuto in ben altro modo. Quindi l’iniziativa dei Club ben venga, deve essere accompagnata secondo me anche da altro. Innanzitutto, da una piena condivisione da parte dei vertici dello sport italiano e del calcio italiano. Deve essere accompagnata da una parte dall’applicazione rigida e rigorosa delle leggi che puniscono il razzismo, i daspo in questo caso, e dall’altra da un’operazione culturale. Per far capire già ai bambini che gridare “buu” a un giocatore di colore è una cosa grave, non è folclore, non è una cosa divertente.
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