In Italia ci sono pochi tentativi di sostegno all’integrazione sociale, per richiedenti asilo e protetti internazionali. Sono per lo più esperienze modello, che riescono a soddisfare poche persone scelte tra coloro che mostrano le maggiori fragilità. Spesso si tratta di famiglie con figli piccoli. I progetti prevedono un solido aiuto all’inserimento lavorativo ed all’autonomia alloggiativa.
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Enrico Marra, Roma
La Caritas, ha avviato un progetto di accoglienza diffusa negli istituti religiosi. L’iniziativa, raccogliendo l’appello che fece il Papa nel 2015, prevede che le famiglie vengono ospitate nella casa canonica. Ai rifugiati si offre un contributo mensile di trecento euro, a cui si aggiungono le offerte e i doni delle persone che frequentano la parrocchia. Si stabilisce con la famiglia un patto d’accoglienza basato sul reciproco impegno. Un mediatore culturale si occupa di assisterli nei rapporti con le istituzioni e la famiglia si impegna a seguire i corsi di italiano, i corsi di formazione e di avviarsi al lavoro.
La parrocchia San Damaso a Roma è alla seconda esperienza di accoglienza. Da fine giugno Jean e Henriette vivono in un appartamento della canonica. Hanno due bambini, Ezechiele di due anni e Keren di appena un mese. Sono originari di Kinshasa, Repubblica Democratica del Congo. Henriette è arrivata in Italia a luglio del 2015, mentre era al sesto mese di gravidanza del suo primo figlio Ezechiele. Il marito Jean l’ha raggiunta il marzo successivo. Prima di beneficiare del progetto d’accoglienza della parrocchia, vivevano separati in due diversi centri.
Jean è laureato in economia ed ha dieci anni di esperienza lavorativa nel suo paese. Un curriculum difficilmente spendibile in Italia, almeno all’inizio. La situazione di Henriette è più semplice dal punto di vista pratico. In Congo era infermiera, lavorava in ospedale. In Italia ha già seguito un corso per assistere gli anziani, così da avere maggiori possibilità di trovare un impiego.
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