Il fenomeno sommerso della violenza sulle donne
Gli ultimi casi di stupri avvenuti in Italia, e a Roma in particolare, hanno fatto le prime pagine dei giornali. Crimini che però nascondono una realtà più vasta: la maggioranza delle violenze avviene in un quadro domestico. La cultura e la giustizia lenta non aiutano le donne a uscire dal silenzio.
Rimini, Catania, Roma, Milano. In tutta Italia, da nord a sud, il tema della violenza sulle donne torna prepotentemente agli onori della cronaca. Ma c’è davvero una recrudescenza del fenomeno?
I dati dicono di no. Secondo il ministero degli Interni, nei primi sette mesi del 2017 i casi di violenza sessuale sono stati 2.333, in linea con lo stesso periodo dell’anno scorso quando, anzi, erano stati 12 in più.
Sui base annua, invece, il numero oscilla intorno ai quattromila episodi, ma il dato è in costante diminuzione: tra marzo 2014 e 2015 erano stati denunciati 3.624 stupri, l’anno prima 4.607, mentre tra 2012 e 2013 il numero era stato ancora superiore, vicino ai cinquemila casi.
Oggi, quindi, in Italia vengono registrati in media 11 stupri al giorno, meno del passato. Non a Roma, però. Le violenze nella capitale, quest’anno, sono aumentate.
Aggressioni, strade buie e poca polizia: la cronaca restituisce una città in preda alla paura, ma la questione della violenza sulle donne è molto più complessa.
Basarsi sui numeri più fornire una indicazione, ma il fenomeno è in gran parte sommerso. Ciò significa che la stragrande maggioranza dei casi non viene denunciata. Secondo il rapporto del 2014Collegamento esterno dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali dell’uomo, relativa ai 28 paesi membri, le denunce avvengono in appena il 14% dei casi, un dato che in Italia scende al 10%.
Al Telefono RosaCollegamento esterno, l’associazione nata del 1988 per offrire un supporto alle vittime di violenza, da inizio anno sono arrivate 1.200 richieste di aiuto, un dato in aumento del 10% rispetto al 2016. Una crescita che tuttavia non significa necessariamente l’aumento dei casi, ma solo una maggiore predisposizione delle vittime a cercare supporto. L’associazione dispone infatti di una squadra di psicologi e avvocati, in grado di guidare le donne a uscire dal silenzio: ma dopo la consulenza, come spiega la presidente Carnieri Moscatelli, molte rinunciano ugualmente a denunciare.
Che il posto più pericoloso per le donne non sia la strada, ma la casa in cui si convive, lo certifica anche l’IstatCollegamento esterno: secondo i dati più recenti, relativi al 2014, il 62,7% dei casi di stupro viene infatti commesso dal partner o dall’ex, cioè le persone più vicine alla vittima. Altri 9,4 casi su cento riguardano amici della donna, il 3,6% addirittura i parenti.
A livello internazionale esiste una carta, firmata da 32 paesi europei, che dovrebbe rappresentare un vademecum condiviso sul tema della violenza contro le donne e quella domestica. È la convenzione di Istanbul, che in Italia è legge dal giugno del 2013. Il trattato si propone tre obiettivi: prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime e impedire l’impunità dei colpevoli. Ma su questi punti l’Italia è ancora arretrata, colpa anche di uno squilibrio nella dislocazione dei centri anti-violenza, cioè quelle strutture dove le donne possono trovare aiuto e alle volte anche protezione, come nei casi delle cosiddette case-rifugio. In Italia i centri sono 148, la maggior parte dei quali al nord, soprattutto in Emilia-Romagna, Piemonte e Lombardia. L’associazione Donne In Rete ne raggruppa circa la metà, di cui si occupa di pubblicare un report annuale: nel 2015 le 77 strutture che ne fanno parte avevano accolto 16.849 donne, di cui quasi il 60% di età compresa tra i 30 e i 50 anni.
“Se una donna vive in un territorio dove c’è una rete anti-violenza e un sistema di giustizia ad essa collegato, allora ha più possibilità di uscire dal silenzio a cui è costretta. Altrimenti – conclude Elisa Ercoli, presidente dell’associazione Differenza DonnaCollegamento esterno – pur denunciando alle forze dell’ordine, rimane sola, abbandonata lungo una strada che in Italia è ricca di ostacoli, soprattutto culturali”.
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