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Turismo delle radici: un progetto che guarda anche alla Svizzera

fiat 500 e persone su scooter
Quella italiana è la comunità straniera più importante in Svizzera. E la passione per certi simboli dell'italianità coinvolge anche molte persone con il passaporto elvetico. Keystone / Jean-christophe Bott

Il ministero degli esteri italiano ha investito 20 milioni del Pnrr nel progetto “Turismo delle radici” che mira ad attrarre le persone di origine italiane che vivono in giro per il mondo. Con oltre 600'000 oriundi italiani, la Svizzera è tra i mercati più attenzionati d’Europa. Ma non mancano le critiche.

Il ministero degli esteri italiano ha investito 20 milioni del Pnrr nel progetto “Turismo delle radici” che mira ad attrarre le persone di origine italiane che vivono in giro per il mondo. Con oltre mezzo milione di oriundi italiani, la Svizzera è tra i mercati più attenzionati d’Europa. Ma non mancano le critiche.

“Se devo definirmi direi che sono un italiano degli anni Ottanta”. Raffaele Giannattasio ha 30 anni e negli anni Ottanta nemmeno era nato. Ma per chi come lui è nato e cresciuto in Svizzera da genitori italiani immigrati nella Confederazione il concetto di identità è una cosa complessa.

“Sebbene sia completamente integrato a Nyon dove partecipo attivamente anche alla vita politica, non posso dire di sentirmi svizzero. Inoltre, ho tanto in comune con i miei coetanei di qui ma quando scendo giù a Rutigliano, il Paese da cui sono partiti anni fa mia madre e mio padre, sento di sentirmi più vicino alle persone della generazione dei miei genitori rispetto che alla mia. Perché è quella l’Italia che mi è stata raccontata e tramandata. E che cerco, costantemente, quando vado giù in Puglia”.

Raffaele rappresenta uno degli idealtipi di persona a cui si rivolge il progetto “Turismo delle radici” che il Ministero degli esteri italiano sta portando avanti grazie a un investimento di 20 milioni di euro e che mira a creare un’offerta turistica per chi – come Raffaele e gli altri 80 milioni di italo-discendenti in giro per il mondo – ha radici in Italia ma una vita all’estero.

Un progetto che ha come obiettivo temporale il 2024, che è stato istituito come “l’anno delle radici italiane all’estero” e che tenta di attirare questo serbatoio di potenziali viaggiatori verso destinazioni che sono fuori dai radar turistici tradizionali: i borghi, i paesini e i piccoli centri da cui sono partiti genitori, nonni e bisnonni.

Servizi ad hoc per i viaggiatori delle radici

“L’obiettivo del nostro progetto, che rientra nella linea di investimento del Pnrr per l’attrattività dei borghi, è creare un’offerta turistica che sia pensata specificatamente per gli italiani all’estero e gli italo-discendenti”, spiega a tvsvizzera.it Marina Gabrieli, la coordinatrice nazionale del progetto PNRR “Turismo delle radici”.

“Mi è capitato diverse volte di ascoltare storie di persone che hanno risparmiato tutta la vita per potersi permettere il viaggio delle radici in Italia e che arrivate in paese non sono state accolte così come loro desideravano e si aspettavano”, continua la dottoressa Gabrieli.

Ma cosa desidera e cosa si aspetta di trovare un turista delle radici? Il viaggio delle radici è quel viaggio che gli italo-discendenti e gli oriundi fanno in Italia con lo scopo principale di ricercare la propria identità personale e collettiva. Di scoprire dettagli della storia dei propri avi e di vivere i luoghi da cui sono partiti genitori, nonni o bisnonni. È chiaro, dunque, che i servizi che queste persone si aspettano di trovare sono ben diversi da quelli del turismo tradizionale.

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Migranti diretti verso nord a una stazione di bus.

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“Per questo – spiega ancora Marina Gabrieli – stiamo lavorando per creare le condizioni, nei piccoli borghi e nei paesi in cui soggiorneranno queste persone, per offrire servizi quali ricerche storico-famigliari, la costruzione del proprio albero genealogico, l’individuazione dei luoghi legati alla famiglia di origine come possono essere la casa in cui sono nati i nonni, la chiesa in cui sono stati battezzati i genitori o l’antica fontana in cui sono ambientate le storie tramandate in famiglia”.

Ma siamo sicuri che i tanti italo-discendenti presenti nel mondo siano attirati da questo tipo di servizi?

Il viaggio delle radici degli italo-discendenti svizzeri

Raffaele Giannattasio lo ammette: “Non sono tanti i miei coetanei qui in Svizzera che, pur avendo la mia stessa storia famigliare alle spalle, sono interessati alla ricerca delle proprie radici e della propria identità come lo sono io”. Raffaele ci spiega che è ben consapevole che chi ha trascorso tutte le estati nel paese di origine dei propri genitori sin da bambino ha un atteggiamento diverso rispetto all’Italia. “Molti tendono a tornare sempre meno spesso al paese perché in fondo lì c’è poco da fare”.

E insomma, ha senso spendere soldi pubblici per cercare di attirare queste persone che nei paesini di origine dei propri genitori ci sono state decine di volte nella loro vita? Ha senso, insomma, parlare di “Turismo delle radici” per gli italo-discendenti svizzeri?

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sedia in riva al mare

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“Tecnicamente no, ma in maniera estensiva è possibile”, risponde il professor Giuseppe Sommario dell’Università Cattolica. “Il viaggio delle radici è definito come il viaggio che gli italo-discendenti fanno in Italia per la prima volta nella loro vita con lo scopo di andare alla ricerca delle proprie radici e della propria identità”.

Dunque, gli oltre 600’000 italiani e italo-discendenti che vivono nella Confederazione non rientrerebbero in questa definizione perché – tra chi in Italia ci è nato e chi ci ha trascorso tutte (o quasi) le vacanze estive della propria vita – per nessuno di loro (tranne casi straordinari) si tratterebbe del primo viaggio nel Bel Paese.

“Eppure io dico da tempo che possiamo leggere questo concetto in maniera estensiva”, continua il professor Sommario che ha dedicato gran parte della propria ricerca accademica al tema dei viaggi delle radici. “Secondo me, con le dovute distinzioni, possiamo parlare di viaggio delle radici anche in questo caso. Quando queste persone decidono di svolgere un viaggio con un obiettivo diverso da quello meramente ricreativo o per andare in visita ai parenti allora ci troviamo di fronte a un viaggio delle radici. A qualcosa che ha a che fare con la ricerca di sé stessi, della propria anima e della propria identità personale e collettiva”.

Una questione geografica

“Chiaramente”, continua il professor Sommario, “ci troviamo di fronte a profili diversi: una cosa è vivere in Svizzera, a quattro passi dall’Italia, un’altra cosa è vivere, per dire, in Argentina”.

Stando ai risultati del questionario “Scoprirsi italiani” che è stato somministrato a più di 10’000 italo-discendenti in diversi Paesi (tra cui la Svizzera), l’interesse – concreto o potenziale – a questo tipo di viaggi è assai più alto negli oriundi che si trovano in America e in Australia piuttosto che tra gli italo-discendenti che vivono nei diversi Paesi d’Europa.

La differenza la fa la vicinanza con l’Italia e le visite svolte nell’arco della propria vita. Eppure, il progetto governativo italiano prende in considerazione come potenziali turisti delle radici anche chi vive in Europa. E la Svizzera, in questo caso, è il mercato più interessante.

“Uno dei nostri obiettivi – spiega la coordinatrice del progetto, la dottoressa Marina Gabrieli – è creare le condizioni per convincere anche chi, come gli italo-discendenti di terza o quarta generazione che vivono in Svizzera o in altri Paesi europei e che in Italia sono già stati, a tornare in Italia alla ricerca di una esperienza diversa da quella del turismo tradizionale”.

Turismo delle radici, un problema di numeri

Insomma, i 20 milioni di euro del Pnrr serviranno tanto a offrire servizi a chi è già di per sé interessato ai viaggi delle radici, sia per convincere gli oriundi che con l’Italia hanno allentato i legami a svolgere un viaggio di questo tipo. Ma c’è chi è piuttosto scettico su tutta questa operazione. “Il problema principale è che i numeri non tornano”, spiega a tvsvizzera.it Luca Martucci, esperto di marketing turistico in Brasile. “Sia chiaro: qualsiasi tipo di interesse di un paese per i suoi figli all’estero è apprezzabile. Ma altra cosa è costruire un castello di sabbia che aumenta le aspettative di centinaia di sindaci che aderendo al progetto si aspettano di ricevere centinaia di turisti da tutto il mondo. I numeri potenziali sono risibili”.

Martucci mette in discussione, prima di tutto, il dato relativo al numero di oriundi italiani nel mondo (80 milioni, secondo quanto indicato nel progetto del ministero degli esteri) che sarebbe una stima poco attendibile. “Ma pur volendo fare uno sforzo e prendendolo per vero, lì dentro c’è di tutto. C’è l’oriundo svizzero di prima generazione ma c’è anche l’italo-discendente di quarta o quinta generazione nato e cresciuto in Brasile o negli Stati Uniti che del paesino in cui è nato il trisavolo non gliene frega niente”.

“È impossibile dire con esattezza quale può essere il bacino di utenti interessati a questo tipo di turismo delle radici. Ma stiamo parlando, con tutta probabilità, di poche migliaia di persone. E ha senso spendere 20 milioni di euro per costruire figure come, ad esempio, il coordinatore regionale del turismo delle radici che dovrà individuare il tipo di servizi da offrire nella propria regione? Io in tutta onestà avrei speso quei soldi in borse di studio per oriundi italiani così da far loro studiare il nostro Paese, la nostra cultura e la nostra arte”.

I rischi della turistificazione

Insomma, la questione è complessa perché sono tante e diverse le storie degli italo-discendenti nel mondo. Il progetto del Ministero degli esteri porta sul piano turistico ed economico ciò che nasce come qualcosa di ben diverso: il viaggio alla ricerca di ciò che si è attraverso la conoscenza delle proprie radici. Qualcosa, insomma, che ha più a che fare con l’anima che col portafogli.

“Io a Rutigliano non mi sento un turista”, conclude Raffaele Giannattasio. “Quando sono lì io mi sento a casa. A me basterebbe sapere che la stradina caratteristica del paese non venga distrutta e che il bar storico della piazza non venga chiuso. Non sento il bisogno di attrazioni turistiche. Ma se al posto del bar del paese nascesse un venditore di pokè per turisti, allora sì che sarebbe un problema”. 

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