Sto arrivando!
Da quando vivo nella città eterna ho fatto della puntualità una questione d’orgoglio, ovviamente legata alla mia identità elvetica. E non riesco ad abituarmi a quel "sto arrivando", un concetto totalmente arbitrario, altamente fluido, mai uguale a sé stesso.
“Sto prendendo il 200 a piazza Mancini”. Mi stupisco non poco quando sul 280 – autobus dell’azienda per la mobilità capitolina, meglio nota come ATAC – sento una signora seduta alle mie spalle che al cellulare sta comunicando a qualcuno, evidentemente in attesa, la propria posizione. Una bugia bell’e buona. Non siamo affatto a piazza Mancini, bensì sul Lungotevere, altezza Castel Sant’Angelo.
Il 280, prima di arrivare al capolinea, dove la signora intende prendere il 200, ha ancora un bel po’ di strada da percorrere: buona parte del Lungotevere, piazza Cavour, piazza Mazzini, lo Stadio Olimpico… insomma – ad essere ottimisti – ci vorranno almeno altri 35 minuti. Naturalmente con l’incognita sulla coincidenza: chissà se, arrivata al capolinea, c’è lì davvero il 200 ad aspettarla. E figuriamoci se l’ATAC si preoccupa delle coincidenze.
Come per molte cose a Roma, nel girare la capitale con i mezzi pubblici, o si è fortunati, o si è sfigati. Non c’è via di mezzo.
“Sto arrivando”, insiste la signora con il suo interlocutore, ignaro della verità vera.
Da quando vivo nella città eterna ho fatto della puntualità una questione d’orgoglio, ovviamente legata alla mia identità elvetica. E non riesco ad abituarmi a quel “sto arrivando”, un concetto totalmente arbitrario, altamente fluido, mai uguale a sé stesso.
Se almeno fosse una formula di rito per dire “sono in grande ritardo”, uno si regolerebbe di conseguenza. Ma non è sempre questo il caso. Seppure in minoranza, le persone puntuali esistono anche a queste latitudini, contrattempo permettendo.
C’è sempre l’incognita del traffico o della penuria di parcheggi sotto casa. Un problema acuto specialmente nel mio quartiere quando c’è la partita. Avendo lo Stadio Olimpico a poche centinaia di metri, il quartiere viene invaso da tifosi durante le giornate clou del campionato di calcio. In quei frangenti, trovare posteggio dalle mie parti, diventa un’impresa titanica.
Sul quarto d’ora accademico non si discute
Non c’è nulla di più relativo della concezione del tempo, e in questa città senza tempo, con il tempo ho imparato ad essere più tollerante, come lo sono gli stessi romani, d’altronde. Sul quarto d’ora accademico non si discute. È una questione di benevola compassione. Nessuno si stranisce se gli appuntamenti slittano di una quindicina di minuti: nulla di più facile che essere intrappolati nel traffico, lo sanno tutti.
“Eh, purtroppo c’è traffico, sto tardando”. Ecco. Come volevasi dimostrare. La signora alle mie spalle formula la più classica delle scuse al suo interlocutore, che ormai aspetta da 25 minuti chissà dove, dalle parti di una delle fermate del 200, tra ponte Milvio e Prima Porta, nell’estrema periferia di Roma Nord. In questo momento il 280 da piazza Mazzini gira su via Oslavia, mancheranno una decina di minuti al capolinea, e di traffico neanche a parlarne.
Ma perché è così difficile ammettere di aver fatto tardi? Uno risparmierebbe tanti di quei nervi, e forse salverebbe anche qualche amicizia. Quando finalmente il 280 arriva al capolinea, ecco che con la coda dell’occhio vedo allontanarsi il 200, direzione: Prima Porta. Non riesco a trattenere un pizzico di malevola goduria, con buona pace di chi è in attesa della signora perennemente sul momento di arrivare.
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