La monnezza non è trasparente
I cassonetti a Roma scoppiano, quasi come i sacchetti dei rifiuti nelle case svizzere.
È già sera inoltrata quando, qualche giorno fa, attraversando Campo de’ Fiori, mi imbatto in una visione surreale. Davanti al mitico forno che fa angolo con via dei Cappellari, vedo in fila cinque secchi dell’immondizia incredibilmente vuoti. Cinque grandi sacchi penzoloni, rigorosamente trasparenti. Sembrerebbe una pubblicità per la Condomeria di Zurigo, quel negozietto in pieno centro che 30 anni fa, quando aprì, fece tanto scalpore, eppure voleva solo affrontare in modo informato ma scanzonato, la nascente epidemia dell’AIDS.
Insomma, illuminati dalla luce al neon del forno, quegli sproporzionati sacchetti trasparenti, srotolati e privi di contenuto, mi hanno fatto un qualche effetto. Non solo perché mi ricordavano la Condomeria, ma anche perché a Roma, da diversi mesi a questa parte, trovare una pattumiera vuota è come trovare l’ago in un pagliaio.
Monnezza urbi et orbi
Proprio quella mattina mi ero sbarazzata della carta, della plastica e del vetro accumulati in casa durante l’estate, e avevo trovato i cassonetti in condizioni sconcertanti, stracolmi, con i rifiuti che uscivano da ogni dove. Ai pochi appigli disponibili c’erano attaccati sacchetti rosa, azzurrini, giallini, per terra un ammasso di cartoni e buste piene zeppe di immondizia che non si sapeva dove mettere i piedi. Sopra al cassonetto della carta torri di giornali e cartoni per la pizza. Per non parlare del cassonetto adibito all’umido che sprigionava un tanfo indescrivibile. Uno spettacolo desolante, che purtroppo dura da mesi e mesi.
Per ovviare alla situazione insostenibile, quest’estate la prima cittadina ha introdotto l’obbligo di utilizzare sacchetti della pattumiera trasparenti. L’opinabile misura vuole costringere i romani a fare la raccolta differenziata con più rigore. Come se il problema dello smaltimento dei rifiuti della capitale fosse solo quello. Anche se si utilizzano sacchetti trasparenti, la monnezza stagnante di certo non diventa trasparente. Per accertarsi di ciò, basta farsi un giro sui social con l’hashtag #monnezza.
Monnezza elvetica
Devo dire che trovo il sistema svizzero per la raccolta dei rifiuti molto ingegnoso. Il concetto è: chi sporca, paga. La famiglia svizzera raccoglie i rifiuti non-riciclabili in sacchetti ad hoc con tanto di stemma del Comune: a Zurigo si chiama Züri-Sack, ha un costo proibitivo e, tra parentesi, non è trasparente. Un rotolo di 10 buste da 35 litri costa poco più di 20 franchi e si trova in tutti i supermercati. Niente tassa sui rifiuti. Quella è già compresa nel costo del sacchetto. Chi sgarra, paga multe salate.
Se c’è una cosa che accomuna le famiglie di tutta la Svizzera (tra i paesi più eterogenei di mia conoscenza, per cui i denominatori comuni si contano sulle dita di una mano), è questo gesto quotidiano: stipare fino all’inverosimile il contenuto di quei sacchetti. Anche se già pieno zeppo, qualcosina si riesce comunque sempre ad infilarvici. Pur di procrastinare l’apertura di un nuovo sacchetto, viene in aiuto il piede, che pigiando sul contenuto spesso rischia di far scoppiare il sacchetto comunale.
Monnezza pro capite
Il sistema svizzero forse evita ingiustizie economiche, ma questo non significa che funzioni sul piano della giustizia ambientale. Anzi, secondo l’Eurostat gli svizzeri non sono affatto i primi della classe in materia di rifiuti, al contrario: in media ogni svizzero produce all’anno 706 chili di rifiuti, posizionandosi al terz’ultimo posto della graduatoria. A difesa degli elvetici c’è da dire che pro capite riciclano praticamente la metà dei rifiuti che producono. E l’italiano medio? Sorpresa: butta nella spazzatura 489 chili all’anno, posizionandosi dopo il Portogallo e prima della Finlandia appena sotto la metà nella graduatoria. E, al pari della pulita ed ordinata Confederazione (secondo il famoso motto “propre en ordre”), in Italia si ricicla circa il 50% dei rifiuti prodotti, cifra che nella capitale arriva al 45%. Certo, si può fare molto meglio, sia al di là che al di qua dalle Alpi, ma temo che le soluzioni non stiano nella trasparenza delle buste. La trasparenza, semmai, dovrebbe essere di altra natura.
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