Shinzo Abe a Pearl Harbor, ma senza scuse
Shinzo Abe è alle isole Hawaii per commemorare le vittime dell’attacco giapponese al porto militare di Pearl Harbor, 75 anni fa. Così come il presidente statunitense Obama, nei mesi scorsi, era stato a Hiroshima senza presentare le scuse americane, la visita del premier nipponico aveva l’obiettivo di rendere omaggio ai caduti in guerra e non di offrire delle scuse. La cerimonia congiunta è tuttavia un simbolo di riconciliazione nelle relazioni tra Giappone e Stati Uniti.
L’attacco a sorpresa del 7 dicembre 1941 a Pearl Harbor costò la vita a 2400 americani e provocò l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale.
Lunedì, Abe ha depositato una corona di fiori al cimitero nazionale di Honolulu, dove sono sepolti 50 mila militari statunitensi caduti nei conflitti del Pacifico e della guerra del Vietnam. Si è poi recato al cimitero Makiki, edificato per i giapponesi. Martedì, parteciperà a una cerimonia commemorativa congiunta con Obama davanti al relitto della Uss Arizona, la corazzata bombardata dall’aviazione nipponica che funge da memoriale.
I due leader, nell’ultimo bilaterale prima della fine del mandato dell’attuale inquilino della Casa Bianca, pronunceranno un messaggio collettivo sull’impegno a non ripetere le atrocità della guerra.
La riconciliazione tra i due Paesi avanza parallela a quella del Giappone con la sua storia, dopo anni difficili nel cercare di fare i conti con un passato di guerra. A compiere il passo in avanti è il premier che negli anni ha già riaperto alcuni dei capitoli più oscuri: dallo schiavismo sessuale delle “donne di conforto” coreane al massacro di Nanchino, in Cina.
L’ultimo faccia a faccia fra Obama e Abe arriva a pochi giorni dall’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, che aveva criticato la visita del suo predecessore a Hiroshima.
Abe, primo leader straniero a incontrare Trump, lo aveva definito termine di un colloquio di 90 minuti “un leader in cui possiamo avere fiducia”.
Nondimeno, per Abe l’elezione di Trump apre un periodo di incertezza, legata in particolare al rifiuto della Trans-Pacific Partnership –di cui il premier nipponico è stato un forte promotore- e alla non chiara posizione nel contenzioso tra Giappone e Cina sulle isole nel Mar cinese orientale.
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