Una Brexit senza accordo con l'Ue (no deal) rischia di creare problemi "significativi" anche all'approvvigionamento di prodotti alimentari nel Regno Unito: a lanciare l'allarme è una lettera aperta firmata dai vertici delle principali aziende di grande distribuzione e ristorazione rapida del paese.
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tvsvizzera.it/fra con RSI
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“Siamo estremamente preoccupati per le conseguenze sui nostri clienti di una Brexit no deal”, si legge nel testo, diffuso dai media britannici, firmato dalle aziende Sainsbury’s, Asda, Marks & Spencer, Waitrose, The Co-op, Lidl, McDonald’s e KFC.
I capi azienda delle catene che hanno aderito all’iniziativa sottolineano di voler “preavvertire sui rischi significativi” che minacciano “il mantenimento” al livello attuale “della scelta, della qualità e della durata dei cibi a disposizione dei nostri clienti” nell’ipotesi di un no deal: ipotesi, ammoniscono, destinata a generare “un’inevitabile pressione sui prezzi” a causa dei prevedibili “costi di trasporto più alti, della svalutazione della moneta e dei dazi”.
I firmatari evidenziano poi come la situazione possa rivelarsi ancor più difficile a fine marzo (data prevista per il divorzio di Londra da Bruxelles) trattandosi di un momento di difficoltà “più acute” per la distribuzione di diversi prodotti alimentari che nel Regno sono “fuori stagione”: con il 90% delle verdure fresche e il 70% della frutta “importati dall’Ue in quel periodo dell’anno”.
Di qui l’appello al governo e al Parlamento a “trovare urgentemente una soluzione per evitare lo shock di una Brexit no deal il 29 marzo e rimuovere questi rischi per i consumatori”.
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Rassicurazioni non vincolanti da parte europea. È il magro bottino raccolto dalla premier britannica Theresa May durante il vertice europeo.
“Umiliazione”, “fallimento”. I quotidiani britannici hanno definito anche così il tentativo della premier Theresa May di ottenere concessioni da parte europea sull'accordo raggiunto lo scorso mese sulla Brexit. Concessioni che le sarebbero servite per convincere il Parlamento britannico ad accettare l’intesa faticosamente raggiunta con l’Unione. La stessa May aveva ammesso che, nella situazione attuale, l’accordo verrebbe affossato da Westminster.
In particolare, la premier auspicava di ottenere delle rassicurazioni giuridicamente vincolanti sulla clausola del “backstop irlandese”, che obbligherebbe la Gran Bretagna a sottostare ai regolamenti commerciali europei fino a che non sarà trovato un modo per evitare un dannoso confine “duro” tra Irlanda e Irlanda del Nord.
Un magro bottino
Davanti ai 27 al vertice europeo a Bruxelles, May ha sostenuto di credere che alla Camera dei comuni vi sia "una maggioranza che vuole dare seguito al referendum ed uscire con un accordo negoziato", sollecitando i partner europei ad aiutarla a cambiare la percezione dei parlamentari sul backstop.
Ma la risposta è stata negativa e ancora una volta i leader europei hanno ripetuto: "L'accordo non si tocca, ma possiamo aiutare con chiarimenti politici". E così è stato. I partner si sono limitati a pubblicare una dichiarazione in cui chiariscono lo scopo ed il funzionamento del “backstop”, impegnandosi a fare tutto il possibile perché non entri mai in vigore, ed eventualmente duri il meno possibile. Ma il tutto senza garanzie giuridiche vincolanti che avrebbero certamente aiutato a convincere il Parlamento britannico.
Quest’ultimo dovrebbe esprimersi sulla questione tra il 7 e il 21 gennaio. Nel caso l’accordo venisse respinto, gli scenari ipotizzati variano da un secondo referendum sulla Brexit a un divorzio dall’Ue senza accordo.
In seno all'Unione ci si sta già preparando a quest’ultima, temuta, possibilità. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha annunciato la pubblicazione di tutte le informazioni necessarie per affrontare un’eventuale “hard brexit” mercoledì prossimo.
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