Riscaldamento globale, la gestione del territorio deve cambiare
L'agricoltura, la silvicoltura e più in generale tutta la catena di produzione alimentare devono trasformarsi per evitare di rafforzare una spirale sempre più infernale. È quanto emerge da un rapporto del Gruppo intergovernativo su cambiamenti climatici (Ipcc) pubblicato giovedì a Ginevra.
Se la gestione del territorio non sarà modificata in profondità, la sicurezza alimentare, la salute e la biodiversità saranno sempre più a rischio. Il rapporto dell’Ipcc si concentra sui legami tra cambiamenti climatici, desertificazione, degradazione delle terre, gestione sostenibile del territorio e sicurezza alimentare.
+ il rapporto dell’IpccCollegamento esterno
Nel documento di una sessantina di pagine, viene sottolineato che la crescita demografica associata a un cambiamento delle abitudini alimentari sta esercitando una pressione senza precedenti sulle terre coltivabili e sulle riserve idriche.
“Una sequenza disastrosa”
Per cercare di invertire la tendenza, gli esperti dell’Ipcc preconizzano una serie di misure: produzione sostenibile di cibo, gestione sostenibile delle foreste, gestione del carbonio organico nel suolo, conservazione degli ecosistemi, ripristino del territorio, riduzione della deforestazione e del degrado, riduzione della perdita e dello spreco di cibo e, non da ultimo, riduzione del consumo di carne.
Agricoltura, silvicoltura e altre attività legate all’uso del territorio sono responsabili (nel periodo 2007-2016) di circa il 23% delle emissioni di gas a effetto serra legate alle attività umane.
Aggiungendo le industrie di trasformazione alimentare, la quota sale al 37%.
“Ritardare queste azioni potrebbe causare effetti irreversibili su alcuni ecosistemi, con il rischio di un aumento a lungo termine delle emissioni di gas a effetto serra, che accelererebbero il riscaldamento climatico”, scrivono nel rapporto.
“È una sequenza disastrosa: terre limitate, una popolazione umana che aumenta, il tutto avvolto nel soffocante mantello dell’emergenza climatica”, ha commentato Dave Reay, professore specializzato nelle tecniche di gestione del carbonio all’università di Edimburgo.
Il rapporto dell’Ipcc pubblicato giovedì si inserisce nel quadro della preparazione della prossima conferenza in programma in dicembre in Cile. La Cop-25 dovrebbe permettere di concretizzare delle misure per attuare l’accordo di Parigi del dicembre 2015.
Nel documento si sottolinea che il riscaldamento registrato rispetto all’era preindustriale è più intenso nelle zone agricole (+1,53°C rispetto a +0,87°C di aumento medio a livello planetario).
Produzione agricola a rischio
Canicola, siccità o piogge intense, degrado e desertificazione: il riscaldamento rischia di perturbare fortemente la produzione agricola, in particolare nelle zone più povere dell’Africa e dell’Asia, ma anche nel Mediterraneo. Entro il 2050, i prezzi dei cereali dovrebbero registrare un aumento mediano del 7,6%, con conseguenze immediate sulla sicurezza alimentare delle popolazioni più povere.
Su scala globale, la produzione di oli vegetali e carne pro-capite è più che raddoppiata dal 1961. Ma le differenze sono rimaste notevoli: nel mondo vi sono due miliardi di persone in sovrappeso o obese e nello stesso tempo 821 milioni di persone denutrite.
Inoltre, dal 25 al 30% della produzione agricola è persa o sprecata.
Consumo di carne
“È una crisi di cui siamo responsabili, ma è anche una crisi che possiamo risolvere se agiamo ora”, ha dichiarato Reyes Tirado, una scienziata che lavora per l’istituto di ricerca dell’Ong Greenpeace all’università di Exeter.
“Il nostro impatto senza precedenti sulle terre agricole è dovuto in gran parte all’espansione dell’agricoltura industriale e della di produzione di carne”, ha sottolineato. Per uscire da questa situazione di “consumo eccessivo”, bisognerebbe ridurre del 50% il consumo di carne, con punte nell’ordine del 70-90% in alcuni paesi dell’Europa occidentale e del Nord America.
Questa trasformazione della produzione agricola consentirebbe pure di aumentare la superficie delle foreste, che sono delle “trappole” di carbonio.
Le responsabilità della Svizzera
Le conclusioni del rapporto dell’Ipcc devono essere prese in considerazione seriamente anche nella Confederazione, scrive giovedì la sezione elvetica di Greenpeace.
Stando a uno studio recenteCollegamento esterno, nessun altro paese esporta una quota così importante di impatto ambientale verso altri paesi.
“Gli svizzeri – prosegue l’organizzazione ambientalista – consumano molte materie prime, la cui produzione conduce alla distruzione di ecosistemi indispensabili per la regolazione del clima”.
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