Frontalieri, “molti Stati stanno violando Schengen”
Il trattato di Schengen consente alcune deroghe alla libera circolazione in caso di pandemia o altre emergenze ma molti paesi europei stanno applicando queste eccezioni in maniera totalmente indiscriminata.
È quanto sostiene la Confederazione europea dei sindacati (Ces/Etuc) per bocca del suo segretario generale Luca Visentini secondo il quale alcuni Stati gestiscono il transito alle dogane “in maniera completamente irrazionale”, chiudendo alcuni valichi e lasciandone aperti altri, “creando code interminabili” e sottoponendo le persone a “controlli vessatori che molto spesso non sono neanche completamente collegati con il loro stato di salute o alla prevenzione”. Per il segretario generale della Confederazione insomma non viene tutelato pienamente il diritto alla mobilità di alcune categorie, in particolare i lavoratori frontalieri.
Anche nei paesi che attorniano la Confederazione elvetica, in particolare in Italia, nelle scorse settimane media e politici locali avevano criticato la pratica di “consigliare” i lavoratori pendolari provenienti dall’estero di pernottare nel paese di attività per ovviare agli estenuanti controlli ai valichi doganali, ripristinati nel corso di questa emergenza pandemica. Ma per Luca Visentini (Ces/Etuc) l’UE dovrebbe intervenire in maniera decisa e coordinata per assicurare anche ai frontalieri le medesime tutele della salute e le medesime prestazioni a sostegno del reddito di cui godono le altre categorie dei lavoratori.
Riguardo invece alla strategia messa in campo a livello continentale – Meccanismo europeo di stabilità (Mes), Banca europea per gli investimenti (Bei) e il nuovo sostegno contro il rischio di disoccupazione nell’emergenza (Sure) creato dalla Commissione UE – il giudizio dei sindacati europei è sostanzialmente positivo, a condizione che vengano coinvolti nella loro implementazione pratica e che vengano successivamente completati da un piano per la crescita economica attraverso la creazione di un fondo europeo per la ripresa (Recovery Plan) – nel quale potrebbero essere ricompresi anche i discussi coronabond – di cui si dovrà occuperà nei prossimi giorni il Consiglio europeo.
Luca Visentini: l’UE dovrebbe intervenire per assicurare anche ai frontalieri le medesime tutele della salute e le medesime prestazioni a sostegno del reddito di cui godono gli altri lavoratori.
Tvsvizzera: Pernottamenti in loco “consigliati” dai datori di lavoro ai frontalieri, estenuanti controlli alle dogane: sono attualmente rispettate a suo giudizio le disposizioni previste dalla Convenzione di Schengen?
Luca Visentini: Con grande difficoltà. Moltissimi paesi stanno violando apertamente le normative di SchengenCollegamento esterno applicando le deroghe alla libera circolazione, previste in casi eccezionali come le epidemie, in maniera totalmente indiscriminata (chiusura opinabile di alcuni valichi di frontiera, gestione del transito alle dogane irrazionale con conseguenti code interminabili e controlli vessatori sulle persone).
Inoltre, i frontalieri non sono adeguatamente tutelati in termini di protezione della salute sul posto di lavoro poiché le normative divergono completamente da un paese all’altro e vengono attuate in modo soggettivo e scoordinato dai vari imprenditori.
Ai pendolari transnazionali vanno infine garantiti, soprattutto in questa fase di grande emergenza, la copertura dei trattamenti sanitari – nel caso in cui si ammalino – e i sostegni al reddito, compresi i sussidi di disoccupazione, in vigore nel paese in cui lavorano e in quello in cui risiedono.
Che valutazioni date sulle strategie messe a punto da commissione Ue e governi per tutelare il lavoro in questa crisi?
Riteniamo che siano utili anche se molte decisioni sono giunte un po’ in ritardo. C’è stato un primo pacchetto di misure messe in campo dalla Bce e dalla Commissione Ue, che ha sospeso i vincoli del patto di stabilità e ha cercato di mobilitare da subito alcune risorse. Però questo primo pacchetto di iniziative che sono state attivate a metà marzo non ha sortito grandissimi effetti visti gli oltre 20 milioni di persone senza lavoro o sospese dal lavoro.
Ed è per questo che noi abbiamo dato il benvenuto a iniziative che l’Eurogruppo ha discusso due settimane fa. Vale a dire la possibilità di avere la messa in funzione del sistema Sure che darà 100 miliardi di euro ai vari paesi sotto forma di prestiti agevolati per cercare di sostenere i meccanismi nazionali di sostegno e compensazione al reddito per le persone che hanno visto il loro lavoro sospeso e per sostenere sistemi come il Kurzarbeit tedesco o la cassa integrazione italiana.
Quindi voi date un giudizio positivo al controverso Mes (Fondo salva-Stati)?
Noi diamo un giudizio positivo alla sua nuova modalità di utilizzo. Quando il MesCollegamento esterno era stato creato nel 2012 era uno strumento molto controverso che poneva delle pesantissime condizionalità macroeconomiche (limiti nei bilanci, tagli, politiche di austerità).
Tutto questo era negativo e a noi non è mai piaciuto il Mes come era stato concepito all’epoca ma la proposta che giunge oggi dall’Eurogruppo è completamente diversa perché non prevede alcuna condizionalità, i prestiti potranno essere restituiti fino a 30 anni a tasso praticamente zero e soprattutto perché questo specifico canale di finanziamento (240 miliardi) è finalizzato al sostegno dei sistemi sanitari che sono proprio i sistemi che sono stati falcidiati dalle politiche di austerità e dai tagli in passato.
Ovviamente tutti questi strumenti (Sure, Bei, Mes), che hanno lo scopo di superare l’emergenza, sono insufficienti senza un programma di crescita, il famoso Recovery plan annunciato dall’Eurogruppo e che verrà discusso dal consiglio questa settimana.
Restano però divergenze profonde a livello di tutele dei lavoratori che hanno perso il lavoro a causa del lockdown tra i vari paesi Ue.
Puntiamo a utilizzare il SureCollegamento esterno proprio come uno strumento di progressivo coordinamento e omogeneizzazione, in particolare delle misure di sostegno al reddito e di disoccupazione temporanea. I sistemi sono diversi da paese a paese e ci sono ancora sei Stati che non hanno adottato forme di cassa integrazione. C’è quindi la necessità che la Commissione europea, quando darà avvio a Sure, raccomandi a tutti i paesi di istituire questi sistemi di sostegno al reddito e di disoccupazione temporanea.
Luca Visentini: ci sono ancora sei Stati che non hanno adottato forme di cassa integrazione.
C’è il problema che questi sistemi non coprono tutte le aziende. Ci sono aziende, soprattutto quelle medie-piccole in alcuni settori, che non riescono ad accedere a questi strumenti e bisogna estendere la copertura a tutti i settori e a tutte le aziende. C’è poi la questione principale che non tutte le categorie di lavoratori possono avere questo tipo di sostegno di cui beneficiano molto spesso solo i dipendenti delle grandi imprese e non gli atipici, autonomi, precari, in nero, migranti.
Ecco perché stiamo spingendo la commissione UE, nel momento in cui emanerà le linee guida, a far sì che ci siano anche delle raccomandazioni per ampliarne la copertura in maniera universale e di raggiungere tutti i lavoratori e tutte le imprese. Dovrebbe essere l’occasione per mettere in campo un maggiore coordinamento e una maggiore omogeneità nella risposta alla crisi.
Come pensate di muovervi concretamente nelle prossime settimane?
Ci sono tre cose su cui stiamo lavorando in questo momento: far sì che le misure adottate dall’Eurogruppo e che saranno esaminate questa settimana dal Consiglio europeo (Sure, Bei e Mes) vengano resi operativi il più presto possibile. Sono soldi che devono essere messi in circolo immediatamente e attivabili da subito. Vogliamo poi essere consultati in quella che viene definita la Exit Strategy.
La Commissione Ue ha pubblicato la settimana scorsa una comunicazione in cui stabilisce una road map su come i vari paesi dovranno coordinarsi tra di loro per tornare gradualmente alla normalità dopo l’emergenza sanitaria e noi chiediamo che la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sia parte integrante di questa strategia. Infine vogliamo assolutamente che l’UE metta immediatamente in campo un piano per la ricostruzione economica (Recovery Plan) e vogliamo essere coinvolti nella definizione e nell’implementazione di questo piano per prevenire la disoccupazione e aiutare i lavoratori rimasti senza impiego. Su questi tre fronti stiamo negoziando con la Commissione UE, con il Consiglio europeo e con i singoli paesi per fare in modo che ci siano decisioni adeguate.
Mes, Bei e Sure all’esame dell’UE: La strategia economico-finanziaria contro la pandemia di cui si dibatte ai vertici dell’UE (Eurogruppo e Consiglio Europeo) si fonda essenzialmente su tre tipi di intervento: Mes, Bei e Sure. 240 miliardi di euro (le cifre provvisorie sono oggetto di trattative) dovrebbero venire dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes, conosciuto anche come fondo salva-Stati) creato nel 2012 per sostenere i paesi della zona euro a rischio di default.
In questo caso si va verso una sua applicazione mirata (sostegno dei sistemi sanitari nazionali) e senza condizioni (vincoli di bilancio) ma l’importo non potrà superare il 2% del Pil. Altri 200-240 miliardi di crediti alle imprese saranno assicurati dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) mentre la Commissione UE stanzierà 100 miliardi a sostegno del lavoro (cassa integrazione) con il Sure.
È allo studio anche un fondo per la ripresa (Recovery Plan) dalla dotazione di 500 miliardi. La discussione è aperta invece sui vari strumenti (bond) di debito condiviso, osteggiati dai paesi rigoristi del Nord Europa (Germania, Olanda su tutti) ma chiesti a gran voce dall’Italia. Va aggiunto che la BCE si appresta a comprare titoli pubblici per 1’000 miliardi mentre la Commissione Ue ha sospeso un mese fa il Patto di stabilità, concedendo così ai governi di indebitarsi per sostenere l’economia.
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