Nell’inferno dei centri profughi libici
Secondo l'ONU, in Libia si trovano circa 800’000 migranti. Circa settemila si trovano segregati, in condizioni spesso disumane, nei centri di detenzione gestiti dal governo, altri 20’000 sono assistiti dall'Alto commissariato Onu per i rifugiati e dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni che gestiscono le richieste di asilo in paesi terzi oppure i ritorni a casa volontari.
Da parte sua Tripoli rifiuta le critiche secondo le quali il paese nordafricano non farebbe nulla per fermare i flussi migratori verso nord.
I governi europei ritengono anzi che le autorità libiche usino le ondate di profughi allo scopo di ricatto per ottenere ulteriori finanziamenti. Queste ultime sostengono invece di essere state lasciate sole a gestire un fenomeno complesso e gravoso come quello della migrazione proveniente da sud.
In realtà le profonde divisioni politiche e i clan che tengono in ostaggio il governo di Tripoli non consentono alla guardia costiera, che riceve solo parte delle risorse assicurate dall’Europa, di contrastare la lucrosa attività dei trafficanti d’uomini.
I centri di detenzione dei migranti gestiti dal governo sono veri e propri lager. A dirlo non sono (solo) le Ong ma rapporti dell’Onu che attestano pratiche violente e uso della tortura nei confronti dei profughi. Come sembra essere avvenuto nel centro di Triq al Sika, uno dei più grandi del paese, dove vengono ospitate 1’700 persone e sono entrate le telecamere del Tg che hanno raccolto le dolorose testimonianze di alcuni migranti segregati.
La capitale Tripoli è al centro di conflitti politici, che spesso sfociano in veri e propri scontri armati tra fazioni e malgrado le ricche risorse petrolifere per buona parte della popolazione scarseggiano i soldi e il lavoro. Nonostante la grave crisi economica e politica i giovani, che sono oltre la metà della popolazione non hanno gettato la spugna e fioriscono i luoghi di aggregazione e dibattito, così come le iniziative culturali e le attività creative. Un mondo, magari effimero, che dall’esterno è forse difficile da immaginare.
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