Pandora Papers, i tesori nascosti di politici e VIP
Cinque anni dopo i “Panama Papers”, una nuova inchiesta giornalistica svela i patrimoni nascosti nei paradisi fiscali da leader mondiali, politici, miliardari e personalità del mondo dello spettacolo: 12 milioni di nuovi file sono stati passati in rassegna da circa 600 giornalisti che fanno parte dell’ICIJ, il consorzio internazionale del giornalismo investigativo.
L’inchiesta, battezzata “Pandora Papers”, ha permesso di fare luce sull’attività di 14 società di servizi finanziari e 29’000 società offshore.
Sono almeno 35 i capi di Stato o di Governo che secondo il consorzio hanno dissimulato i loro averi, così come una miriade di celebrità dello sport, della moda e dello spettacolo, e – si legge sul sito dell’EspressoCollegamento esterno, settimanale italiano legato all’ICIJ – “criminali, ex terroristi, bancarottieri, trafficanti di droga e boss mafiosi”. Sono tutti clienti di 14 società che fabbricano società bucalettere nei Caraibi per permettere, per esempio, di effettuare transazioni immobiliari o occultare le loro ricchezze al fisco.
Il ricorso a società offshore in molti casi non è perseguibile penalmente, ma nel caso dei politici finiti al centro dell’inchiesta l’ICJI sottolinea il parallelo tra i discorsi anticorruzione e l’occultamento di beni nei paradisi fiscali.
I file rivelano per esempio come il Re di Giordania Abdullah, storico alleato degli Stati Uniti, abbia usato varie società fantasma per acquistare per oltre 100 milioni di dollari proprietà di lusso a Malibu, in California, a Londra e a Washington. In Europa i documenti espongono l’acquisto per 22 milioni di dollari di un castello in Francia, vicino Cannes, da parte del premier ceco Andrej Babis, politico miliardario che si presenta come populista avversario dell’élite europea.
Mentre in Africa puntano al presidente del Kenya Uhuru Kenyatta: pur dipingendosi da anni come nemico numero uno della corruzione, Kenyatta e alcuni dei suoi stretti familiari hanno creato almeno sette entità offshore per nascondere denaro e beni immobiliari per più di 30 milioni di dollari.
Nei documenti figura anche la famiglia reale britannica, che tramite il fondo della Regina ha acquistato per 67 milioni di sterline una proprietà a Londra legata alla famiglia del presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, accusata di corruzione. Sempre restando in Gran Bretagna i Pandora Papers notano come Tony e Charie Blair hanno risparmiato centinaia di migliaia di sterline in tasse sulla proprietà con l’acquisto di un edificio per uffici a Londra tramite una società offshore.
“Gli studi svizzeri fungono da intermediari”
“Il fatto che questi documenti appartengano a 14 studi differenti dà l’opportunità di esplorare globalmente il sistema di funzionamento della finanza offshore: lo avevamo già fatto con i ‘Panama Papers’, ma ora lo possiamo fare in maniera più approfondita”: a spiegarlo è Scilla Alecci, giornalista del Consorzio internazionale di giornalismo investigativo, l’ICIJ, che ha appena pubblicato l’inchiesta intitolata “Pandora Papers”; un lavoro che ha svelato i patrimoni nascosti nei paradisi fiscali di migliaia di potenti in tutto il mondo.
“Abbiamo anche cercato di capire il ruolo degli intermediari svizzeri – spiega alla RSI la giornalista -, sempre più presenti nel facilitare la creazione di società offshore per vari tipi di clienti, non solo facoltosi, ma anche uomini politici e in alcuni casi persone perseguite penalmente”. Il loro ruolo continua, “è di connettere i clienti con gli studi dei paesi che a loro volta creano e registrano queste società. Perché i clienti non vanno direttamente dai cosiddetti offshore provider”.
Nei “Pandora Papers”, continua Scilla Alecci, “vediamo che ci sono almeno 90 tra studi legali di consulenza e fiduciarie svizzere che aiutano i clienti internazionali a creare società offshore. Negli ultimi 10 anni almeno 20 fra questi studi e fiduciarie sono stati segnalati alle autorità internazionali per aver aiutato clienti che poi sono stati indagati in vari paesi, di solito per reati di natura finanziaria”.
“Avere una società offshore non è illegale”
Tra i 90 intermediari ci sarebbe anche una società di consulenza ticinese. Inoltre, recentemente le Camere federali non hanno voluto estendere gli obblighi di diligenza della legge sul riciclaggio. In difesa del ruolo dei presunti intermediari elvetici si schiera però l’avvocato Christian Lüscher, che ai microfoni della RTS ha sottolineato che il fatto di detenere una società offshore “non è di per sé un reato: si può averne una per motivi di discrezione, indicandola nella dichiarazione delle imposte”
Nemmeno essere amministratori di una società offshore, continua l’avvocato ginevrino, è di per sé illegale, “mentre chi utilizza queste società per riciclare denaro sporco viene colpito dalla legge sul riciclaggio”.
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