Twitter dice stop agli spot politici a pagamento
Contrariamente a Facebook, la piattaforma Twitter ha deciso di bloccare le inserzioni pubblicitarie a carattere politico.
A un anno dalle elezioni presidenziali del 3 novembre 2020, Twitter ha annunciato una decisione destinata a fare discutere. La rete sociale ha infatti scelto di rinunciare alla pubblicità a pagamento politica.
In un tweet, il patron dell’azienda Jack Dorsey spiega così la decisione: “Pensiamo che la portata di un messaggio politico la si meriti e non la si acquisti”.
We’ve made the decision to stop all political advertising on Twitter globally. We believe political message reach should be earned, not bought. Why? A few reasons…🧵
— jack 🌍🌏🌎 (@jack) October 30, 2019Collegamento esterno
“La pubblicità su internet – prosegue Dorsey – è molto potente ed efficace, ma comporta rischi politici significativi laddove può essere usata per influenzare il voto”.
La posizione del numero uno di Twitter contrasta fortemente con quella del suo omologo di Facebook Mark Zuckerberg, che in nome della libertà d’espressione ha recentemente difeso i messaggi politici, anche quando contengono delle menzogne.
Secondo Dorsey, la scelta non ha nulla a che vedere con la libertà d’espressione. “Ha a che fare con il pagare” per raggiungere un pubblico più ampio possibile, e questo – ha aggiunto – “ha significative ramificazioni che l’architettura democratica di oggi potrebbe non essere in grado di gestire”.
Voltare pagina
Quanto accaduto durante le presidenziali statunitensi del 2016 e diverse campagne elettorali in altri paesi, ha messo sotto i riflettori il ruolo svolto dalle reti sociali nella formazione dell’opinione politica. Facebook e Twitter sono spesso finiti sul banco degli imputati.
Jack Dorsey, alle prese con un difficile rilancio di Twitter, vuole voltare definitivamente pagina, a differenza di Zuckerberg che ancora pochi giorni fa è stato duramente contestato in Congresso. Dopo le presidenziali Usa del 2016 l’amministratore delegato di Twitter aveva già varato una stretta, iniziando a chiedere agli inserzionisti di verificare la loro identità e pubblicando una banca dati degli spot politici ed elettorali presenti sulla propria piattaforma. E di recente ha vietato le pubblicità sponsorizzate da organismi sostenuti da governi, una risposta in particolare alle fake news circolate sulle proteste ad Hong Kong e favorite da media sostenuti da Pechino.
È inevitabile che adesso la decisione di Twitter metterà ancora più pressione su tutti gli altri social media. Anche se Zuckerberg ha continuato a difendere la sua linea: Facebook è nata per dare voce a tutti e si schiera dalla parte della libera espressione. Dunque la soluzione non è vietare ma regolare e vigilare. E nel quartier generale di Menlo Park opera oramai in pianta stabile una sorta di ‘war room’ dove una task force di esperti prova a controllare tutti i contenuti che passano sulla piattaforma di Facebook, soprattutto a ridosso di importanti elezioni.
L’analisi di Paolo Attivissimo, giornalista esperto di nuove tecnologie e social media:
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