Il Senato argentino ha bocciato il progetto di legge per legalizzare l'aborto nelle prime 14 settimane di gravidanza. Dopo il 'no' sono scoppiate proteste di piazza.
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tvsvizzera.it/mar/ats con RSI (TG del 9.8.2018)
Al termine di una campagna che ha diviso il Paese e dopo un dibattito in aula durato 16 ore, il Senato argentino ha respinto la riforma con 38 voti contrari, 31 a favore e due astenuti.
Il principale elemento della nuova legge era la possibilità per tutte le donne di interrompere la gravidanza entro la 14esima settimana, mentre la normativa attuale, che si rifà al codice penale del 1921, autorizza l’aborto solo quando la gravidanza è frutto di uno stupro o vi sia pericolo per la vita della madre.
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Inoltre, il progetto di legge prevedeva che l’aborto potesse essere eseguito in qualsiasi ospedale o clinica pubblica o privata, senza costo per l’intervento, le medicine e le eventuali terapie di appoggio.
In molteplici interventi i critici della legge hanno evocato la difesa della vita fin dalla concezione, in linea con la Chiesa cattolica, ma anche l’alto costo che la sua applicazione comporterebbe per le casse dello Stato.
Secondo la legge argentina, il ‘no’ del Senato (la Camera lo aveva invece approvato in giugno di stretta misura) significa che per un anno non sarà possibile ripresentare una nuova legge sullo stesso tema. Inoltre, il 2019 sarà un anno elettorale e quindi poco opportuno per l’esame di temi con un contenuto di forte tensione sociale.
Dopo la bocciatura del Senato, sulla piazza del Congresso sono scoppiati degli incidenti isolati. Un gruppo di militanti favorevoli alla legge ha lanciato bottiglie oltre le barriere divisorie e la polizia è intervenuta facendo uso di lacrimogeni.
500’000 aborti ogni anno
Secondo le stime, ogni anno in Argentina sono praticati 500’000 aborti, principalmente in cliniche privati o in luoghi in cui le condizioni igieniche sono molto precarie.
In Sudamerica, gli unici due paesi che autorizzano l’aborto sono l’Uruguay e Cuba. In Brasile, si attende invece il verdetto della Corte suprema, che deve pronunciarsi sulla costituzionalità della legge che permette di porre fine alle gravidanze unicamente in caso di stupro, di malformazione del feto o quando la vita della madre è in pericolo.
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