Sanchez bocciato di nuovo al Congresso
Il leader socialista spagnolo Pedro Sánchez non ha ottenuto neppure al secondo voto al Congresso la maggioranza necessaria per ottenere l'incarico a formare un nuovo governo. I voti contrari sono stati 156 contro i 124 a favore; 66 gli astenuti, tra i quali i parlamentari del partito di ispirazione socialdemocratica e no-global Podemos.
Hanno votato a favore di Sánchez tutti i deputati del PSOE (123), più il rappresentante del Partido regionalista de Cantabria. I 156 ‘no’ contemplano invece i deputati del Partito popolare (centro-destra, 66), Ciudadanos (di orientamento liberale, 57) e Vox (partito fondato da dissidenti del PP, 24).
Per ottenere l’investitura, a Pedro Sánchez (che ha vinto le elezioni dello scorso 28 aprile in Spagna ma senza i numeri sufficienti per governare da solo) sarebbe bastata questa volta la maggioranza semplice. Ma l’astensione di Podemos, annunciata poco prima dello scrutinio, ha anticipato l’insuccesso.
Nessuna coalizione di sinistra
Martedì scorso, quando sarebbe servita la maggioranza assoluta di 176 su 350, il leader socialista aveva perso il primo voto di fiducia con 170 ‘no’ e 52 astenuti (sempre 124 i ‘sì’).
Da allora, ha ottenuto l’astensione di 14 deputati della Sinistra repubblicana di Catalogna (ERC), ma non quella del PP né di Ciudadanos.
Al contempo, non ha trovato un accordo con Podemos: è quindi sfumata l’ipotesi del primo governo di coalizione nella storia democratica della Spagna.
Richieste “irrealistiche”
I tentativi di Sanchez di raggiungere un accordo con Podemos, facendo appello all’unità di valori della sinistra, sono falliti di fronte alle richieste del leader Pablo Iglesias di incarichi governativi, giudicate irrealistiche dal capo negoziatrice socialista Carmen Calvo, che ha accusato Podemos di volere “un governo parallelo” per contro proprio.
Sanchez e Iglesias hanno tempo fino al 23 settembre per superare l’impasse, altrimenti il Paese affronterà nuove elezioni politiche (per la seconda volta in sette mesi e per la quarta volta in cinque anni) poiché i partiti di destra non possono, a loro volta, formare una maggioranza.
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