Sono quasi passati due mesi dal terremoto del 6 febbraio che ha colpito il sud della Turchia e il nord della Siria provocando oltre 57'000 vittime. Viaggio tra omertà, fede religiosa e colpe umane a poco più di un mese dalle elezioni generali.
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Italo Rondinella, RSI News
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L’equinozio di primavera del 2023 è il periodo di precisa equidistanza tra un evento naturale, appena trascorso, che ha sconvolto – e sta sconvolgendo – la Turchia e un evento umano futuro che potrebbe comportare, nel Paese, una svolta epocale sul piano politico.
Mi riferisco, naturalmente, al devastante terremoto del 6 febbraio scorso e alle elezioni generali del 14 maggio prossimo venturo. La correlazione tra questi due eventi rileva soprattutto laddove le responsabilità politiche del primo condizionano fortemente l’esito del secondo. Tenendo in considerazione il fatto che il terremoto ha colpito un’area molto vasta, popolata da circa 13 milioni e mezzo di persone, che rappresentano – con un margine di approssimazione – un sesto del corpo elettorale.
Siamo pertanto tornati nelle zone del sisma per capire che cosa pensi la gente a riguardo. Siamo andati ad Antiochia, tra le città più duramente colpite, sia sul piano del danno architettonico e urbanistico, sia perché qui si sono verificati gravissimi ritardi nei soccorsi e carenze nella gestione dell’emergenza che hanno comportato un enorme numero di decessi che, forse, si potevano evitare.
Accade di frequente che le persone non vogliano parlare di responsabilità politiche o di trovarne altre che, condizionate dal proprio conservatorismo religioso, neghino espressamente l’esistenza di colpe nella pianificazione del territorio da parte delle autorità competenti, sia che si tratti delle amministrazioni locali che, men che meno, del governo centrale, attribuendo al volere di dio, del fato o del destino, le conseguenze catastrofiche del terremoto.
Ma oltre a coloro che non vogliono parlare e a coloro che non vogliono vedere, ci sono pure quelli che le responsabilità politiche le vedono e hanno voglia di denunciarle, auspicando che proprio dal fondo di queste macerie il Paese possa voltare pagina e cominciare una storia nuova.
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