Al via il processo per l’estradizione negli USA di Assange
È iniziato lunedì dinanzi alla Woolwich Crown Court, alla periferia di Londra, il processo di primo grado sulla controversa richiesta di estradizione negli Usa di Julian Assange.
Il fondatore di Wikileaks è inseguito da Washington fin dal 2010, a causa della pubblicazione di una caterva di documenti riservati imbarazzanti per le forze armate e la diplomazia americane, a iniziare da quelli sottratti dagli archivi del Pentagono dalla “whistleblower” Chelsea Manning. L’iter della giustizia britannica durerà diversi mesi.
Un uomo provato, fisicamente e soprattutto psicologicamente, ma deciso ad affrontare la battaglia del destino per cercare di evitare una consegna agli Usa (quasi certa) che potrebbe significare finire murato vivo in una cella. È l’immagine che Julian Assange ha dato di sé alla Woolwich Crown Court, alla periferia di Londra, dove ha preso il via il processo di primo grado dinanzi alla giustizia britannica sulla controversa richiesta d’estradizione presentata da Washington:
Contro l’estradizione una petizione firmata da oltre mille giornalisti di tutto il mondo
Al momento sono previste 5 udienze, fino al 28 febbraio e poi la conclusione a maggio. Alla fine ci sarà una sentenza appellabile con una decisione ultima attesa verso fine 2020. Assange, 48 anni, australiano, era presente all’udienza.
Il governo conservatore di Londra ha già fatto sapere di essere pronto a consegnare l’attivista australiano a Washington, malgrado le proteste e e le denunce, ma ha bisogno del visto giudiziario.
Il fondatore di Wikileaks, arrestato l’anno scorso dopo essersi visto revocare l’asilo che aveva avuto per oltre 6 anni nell’ambasciata ecuadoriana di Londra, è intanto destinato a restare detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, pur avendo finito di scontare l’unica pena inflittagli nel Regno, per aver violato nel 2012 i termini della cauzione quando era sotto inchiesta per una contestata accusa di violenza sessuale avanzata contro di lui in Svezia e poi archiviata.
Additato dagli avversari come un hacker – e negli ultimi anni sospettato pure di rapporti opachi con la Russia – Assange è difeso invece da numerosi attivisti (ma anche dai vertici dell’opposizione laburista britannica) come vittima di “una persecuzione politica” e contro la libertà d’informazione: contro l’estradizione si sono pronunciati in una petizione oltre 1000 giornalisti di tutto il mondo, Amnesty International e una commissione di esperti Onu dei diritti umani che ne ha denunciato la detenzione protratta come una forma di “tortura”.
Sulla stessa lunghezza d’onda alcuni deputati australiani, vari artisti e 117 medici firmatari di un appello pubblicato dal Lancet in cui si sottolineano le sue allarmanti condizioni fisiche e psicologiche; mentre il padre, giunto a Londra nei giorni scorsi, ha parlato dell’eventuale consegna di Julian oltreoceano come una “condanna a morte” di fatto.
Se estradato, negli Stati Uniti Julian Assange rischia fino a 175 anni di carcere.
Qui il servizio del Telegiornale che riassume in breve i fatti.
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