Le ricadute del ‘Decreto sicurezza’ sul sistema d’asilo svizzero
Le famiglie di richiedenti l'asilo, in particolare con membri che hanno bisogno di cure mediche immediate, non possono essere rinviate in Italia se Roma non fornisce garanzie supplementari sulla loro presa a carico. Lo ha deciso il Tribunale amministrativo federale in seguito, tra l'altro, all'inasprimento dell'iter d'asilo previsto dal Decreto sicurezza.
Il Decreto sicurezza bis, approvato il 28 novembre scorso dal Parlamento italiano, sta avendo ripercussioni anche all’estero. Il Tribunale amministrativo federale (TAF) ha infatti accolto il ricorso di una donna nigeriana che, sulla base dell’accordo di Dublino, avrebbe dovuto essere rinviata in Italia assieme ai due figli. Nelle ultime settimane, il tribunale aveva pronunciato un altro paio di sentenze che andavano nello stesso senso.
La corte ha ritenuto – in estrema sintesi – che in Italia le condizioni d’accoglienza per le famiglie sono lungi dall’essere ottimali. Tantopiù in un caso come quello esaminato, poiché la donna soffre di problemi di salute. Il TAF ha così chiesto alla Segreteria di Stato della migrazione (SEM), l’autorità federale competente nell’ambito dell’asilo, di procedere a una valutazione precisa delle “condizioni effettive e concrete della presa a carico delle famiglie in Italia nei centri di prima accoglienza” prima di prendere una nuova decisione.
– La sentenza del TAF (in francese)Collegamento esterno
La donna aveva lasciato la Nigeria nel 2010 e si era installata in Italia, dove si era sposata. Nel 2018, in seguito alle violenze commesse su di lei dal marito, era fuggita in Svizzera. Qui ha presentato una domanda d’asilo. Avendo vissuto diversi anni nella Penisola, la SEM ha però ritenuto che la richiesta d’asilo fosse di competenza delle autorità italiana. Sulla base dell’Accordo di Dublino, che prevede appunto che lo Stato responsabile per l’esame della richiesta sia il primo paese d’arrivo, la SEM ha quindi chiesto a Roma di accogliere la donna e i suoi due figli. Una domanda accolta positivamente e contro la quale la richiedente ha presentato ricorso.
Rimpatri ‘Dublino’
Dal primo gennaio 2019 al 30 novembre 2019, la Svizzera ha rinviato in Italia 1’114 persone sulla base dell’accordo di Dublino.
Necessarie maggiori garanzie
Secondo il TAF, le garanzie generali fornite dalle autorità italiane per quanto concerne la presa a carico delle famiglie di richiedenti, ad esempio per quanto concerne la non separazione delle famiglie o l’accesso alle cure, non sono sufficienti.
Dal 2014, con la sentenza della Corte europea dei diritti umani nel caso Tarakhel, nei casi di trasferimento ‘Dublino’ le autorità elvetiche devono ottenere garanzie sulle condizioni d’accoglienza da parte dello Stato in cui il richiedente viene rinviato, in particolare quando si tratta di persone vulnerabili.
Il caso Tarakhel
Nel 2014 la Corte europea dei diritti umani (Cedu) aveva accolto il ricorso della famiglia Tarakhel, che si era opposta alla decisione delle autorità svizzere di trasferirla in Italia.
I giudici di Strasburgo avevano ritenuto che – viste le condizioni di accoglienza nella Penisola – un trasferimento senza garanzie avrebbe violato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, che vieta i trattamenti disumani o degradanti.
Con il ‘decreto Salvini’ la situazione è però cambiata. I richiedenti che non beneficiano della protezione internazionaleCollegamento esterno non hanno più accesso agli ex centri Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), pensati per persone particolarmente vulnerabili, tra cui appunto le famiglie, ma unicamente ai centri di prima accoglienza (Cda, ex Cara).
Questi centri, scrive il TAF sulle basi del rapporto AIDACollegamento esterno, “sono sovraffollati e la qualità dei servizi d’accoglienza non corrisponde a quella offerta nei centri più piccoli”, come appunto gli Sprar. Inoltre, sussistono lacune per quanto concerne le misure d’assistenza, la vita sociale, l’assistenza giuridica e capita regolarmente che delle famiglie vengano separate. Il TAF rileva inoltre che le sovvenzioni statali sono state drasticamente tagliate.
Accesso alle cure mediche
Un altro punto importante sono le cure sanitarie. “Se l’accesso a quelle d’urgenza è garantito immediatamente a tutte le persone che sono trasferite in Italia – si legge nella sentenza del TAF – non altrettanto si può dire per le cure specialistiche”.
“Tenuto conto della situazione attuale […] e dei cambiamenti avvenuti in seguito all’entrata in vigore del ‘Decreto Salvini’, il Tribunale è del parere che la giurisprudenza Tarakhel deve essere estesa alle persone che soffrono di malattie (somatiche o psichiche) gravi o croniche, che necessitano una presa a carico immediata al loro arrivo in Italia”.
In una presa di posizione inviata a tvsvizzera.it, la SEM sottolinea proprio questo aspetto: “La decisione del Tribunale amministrativo federale riguarda esclusivamente famiglie e persone che hanno bisogno di cure mediche immediate”.
La Segreteria di Stato della migrazione sta analizzando in che misura questa decisione influirà sul rimpatrio di queste persone in Italia ai sensi della Convenzione di Dublino. “Negli ultimi giorni – precisa la SEM – non vi sono stati trasferimenti di persone che soddisfano questi criteri”.
“Sconsigliamo i rimpatri verso l’Italia”
Per l’Organizzazione d’aiuto svizzero ai rifugiatiCollegamento esterno (Osar) la sentenza del TAF non giunge inaspettata: “Coi cambiamenti introdotti dal cosiddetto ‘Decreto Salvini’ e i tagli massicci nel sistema d’accoglienza, la situazione per tutti i richiedenti l’asilo è peggiorata enormemente. Il 75% di loro è ospitata nei centri Cas, originariamente costruiti come centri di emergenza – indica la portavoce dell’Osar Eliane Engeler. Gli operatori di questi centri cambiano ogni sei mesi, non esiste una visione d’insieme nazionale, né del numero e della qualità dei posti disponibili, né del flusso di denaro”.
La decisione del TAF riguarda però un singolo caso e non è una sentenza di principio. Non significa che la famiglia in questione sarà infine autorizzata a rimanere in Svizzera e non significa che i rinvii verso l’Italia sono sospesi.
“La nostra posizione però è chiara – sottolinea Eliane Engeler: l’Osar sconsiglia in linea di massima i rimpatri verso l’Italia”.
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