“Non rinunciamo all’indipendenza”
Carles Puigdemont, presidente destituito della Catalogna, era ospite sabato a Lugano del Festival Endorfine. Ha tenuto una conferenza sull'identità catalana.
Vi proponiamo un’intervista a Carles Puigdemont.
Carles Puigdemont, lei è il suo vice ai tempi del vostro Governo regionale Oriol Junqueras siete stati eletti deputati europei alle elezioni di maggio. Non può però sedere nei banchi dell’europarlamento perché non è andato a Madrid a giurare sulla costituzione spagnola. Temeva l’arresto o la disturbava anche il gesto stesso di giurare sulla costituzione spagnola?
Ho giurato sulla costituzione spagnola quando sono stato eletto deputato nel Parlamento catalano e l’ho fatto anche per l’elezione al Parlamento europeo, ma per procura, come una cinquantina di deputati spagnoli che non hanno avuto nessun problema. Nel mio caso, le autorità spagnole vogliono semplicemente arrestarmi e chiudermi in prigione per il resto della vita.
E c’è una questione più profonda europea: i membri del parlamento europei rappresentano i cittadini europei e non solo quelli della loro nazione. E quindi non ha senso giurare sulla costituzione di un singolo paese. La questione è ora davanti alla corte di giustizia europea.
Tre giorni fa si è tenuta la festa nazionale catalana, la Diada. C’era molta gente certo, si parla di 600’000 persone, ma erano molto meno degli anni precedenti. Forse i vostri metodi per rivendicare l’indipendenza sono sembrati troppo radicali?
Attenzione: nelle elezioni europee a maggio abbiamo avuto un sostegno altissimo per l’indipendentismo. È vero che c’era meno gente in strada per la festa nazionale catalana ma era comunque una manifestazione gigante, come se ne vedono poche in Europa. E attenti anche all’obbiettivo catalano. La Catalogna ha provato in tutti i modi ad allargare la sua autonomia con un accordo fiscale con la Spagna: che cosa ha ricevuto in cambio? Un “no”. E allora quando c’è un continuo rifiuto, qual è l’alternativa? Arrendersi? Abbassare la testa? L’indipendenza era l’ultima opzione, non la prima. Estremista, radicale, è il Governo spagnolo che ha rifiutato e continua a rifiutare il dialogo e usa la violenza. Continueremo quindi fino all’obbiettivo finale.
Avete ricevuto molti voti certo, ma mai la maggioranza assoluta. E voi da parte vostra avete organizzato un referendum unilateralmente e avete anche proclamato l’indipendenza: misure di sicuro molto radicali.
Il solo modo per sapere se c’è veramente una maggioranza per l’indipendenza è di organizzare un referendum. Forse che la Spagna vuole organizzarlo? Sarei d’accordo. Ma non vuole. Come dire allora che non c’è la maggioranza? E poi c’è la questione dell’autodeterminazione. Ci sono molte persone in Catalagna che pur essendo contrarie all’indipendenza sono invece favorevoli a un referendum che decida del nostro avvenire.
Emergono però intanto divisioni nel campo indipendentista. Oriol Junqueras – che è stato suo vice nel governo catalano, che ha scelto di restare e per questo è in prigione e sotto processo – è per il dialogo non per l’unilateralismo. Non pensa che sarebbe il caso di sposare questa opzione?
Prima di tutto il partito di Junqueras non ha scartato del tutto la via unilaterale per raggiungere l’indipendenza. Lui dice – e sono d’accordo con lui – che la maggioranza dei catalani preferisce la via del dialogo. Ma insisto: abbiamo già provato questa via.
Nel frattempo però è cambiato il Governo spagnolo, con il socialista Pedro Sanchez. Ma voi dite che non c’è un grande cambiamento.
C’è stato un nuovo Governo grazie al nostro sostegno, ma è passato oltre un anno senza che si siano visti dei risultati, perché si è rifiutato di sedersi a parlare con noi. Ora non riescono a formare il Governo e vediamo – se ci saranno nuove elezioni in Spagna. Il problema è: cosa fare se dopo aver insistito per anni per un dialogo questo dialogo non c’è? Cosa dobbiamo fare? Rivendichiamo questo: che si lasci i catalani decidere del loro destino. Siamo favorevoli a un voto qualunque sia il risultato. Per farlo, occorre permettere la democrazia e non impedire un referendum, la libertà d’espressione o di movimento o d’associazione. Ricordo che i due presidenti della due maggiori associazioni catalane sono in prigione per aver organizzato delle manifestazioni pacifiche.
Lei ha scelto di partire all’estero. Altri dirigenti catalani – come Oriol Junqueras – sono in carcere e rischiano pene molto severe. Lei viene spesso paragonato a lui che ha voluto rimanere per difendere le proprie idee. Questo confronto la imbarazza?
No, perché abbiamo cercato le vie più utili alla nostra lotta per la libertà. Ed era evidente nel mio caso in quanto presidente – non avevo accettato la destituzione – che il modo di lottare più efficace era l’esilio, continuando così a usufruire della libertà di espressione e di movimento, incontrando giornalisti, deputati europei, partecipando a dibattiti. Per contrastare la propaganda spagnola.
Ha quindi cercato di raccogliere appoggi da parte di esponenti europei. I risultati di questa strategia però sono scarsi. Che cosa ha sbagliato nella sua analisi?
Non ho mai detto che il mio obbiettivo era di convincere e ottenere sostegni. Al contrario: dico chiaramente che non posso raccogliere un sostegno politico. Cerco semplicemente di raccontare, di rispondere alle domande e dissipare dei dubbi. Perché so che la macchina della propaganda spagnola – anche qui in Svizzera – ha compiuto azioni illegali. Tra l’altro abbiamo chiesto in Spagna di aprire un’inchiesta sull’azione del corpo diplomatico spagnolo in Svizzera.
Cioè?
Hanno seguito i movimenti di cittadini catalani in Svizzera: con quale diritto?
Lei incontra molta gente. Ma tra coloro che le esprimono simpatia troviamo i movimenti dell’estrema destra identitaria e anti-immigrazione come il Vlaams Belang fiammingo. Non la disturbano queste dichiarazioni di sostegno?
La maggior parte dei nostri appoggi vengono dal centro: popolari, liberali… In Germania ci sostiene chiaramente la sinistra con Die Linke. Perché invece non guardare al nostro programma in materia di società? Certo abbiamo ricevuto sostegni da diversi orizzonti, anche da chi è contro l’indipendenza ma che è per la democrazia, perché si tratta di una battaglia per i diritti umani, per l’autodeterminazione. E non è un diritto né di destra né di sinistra, ma democratico.
Lei dice che il dialogo con il Governo spagnolo non funziona. Come uscire allora dall’empasse?
Dipende anche dalla Spagna! Se la Spagna vuole aggravare il conflitto, se non apre al dialogo sarò chiaro: “Non rinunceremo”. Quindi teniamo le due opzioni: dialogo e via unilaterale.
La Spagna deve accettare che c’è una realtà in Catalogna: due milioni di persone che vogliono scegliere il proprio avvenire. Bisogna trattare con questa realtà e non con l’astrazione dell’unità sacra della Spagna.
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