Gestione della pandemia, Svizzera “modello negativo”
La Svizzera guida l'infelice classifica degli Stati con il tasso di contagi più elevato. La grave situazione del Paese sta avendo dei risvolti negativi anche per l'immagine del Paese all'estero. L'analisi di un politologo basato in Francia.
Stando ai dati dell’università di Oxford, in Svizzera si contano 840 contagi al giorno su un milione di abitanti, davanti dunque a Repubblica Ceca (801), Francia (705), Belgio (581), e Italia (562). Il tasso di positività dei test nella Confederazione si situa ultimamente tra il 20% e il 30% ed è nettamente al di là delle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che per garantire un controllo dell’evoluzione della pandemia preconizza una soglia di al massimo il 5%.
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La cosa non passa inosservata e anche all’estero c’è chi ha cominciato a criticare l’approccio elvetico alla gestione della pandemia. Uno su tutti Joseph de Weck che ha appena pubblicato un articolo sulla rivista Foreign Policy Collegamento esternonel quale tenta di spiegare perché “la Svizzera è diventata uno dei peggiori focolai al mondo”.
Secondo lo storico e politologo di origini svizzere basato a Parigi, la risposta immediata è che “il governo Svizzero non ha voluto prendere le necessarie misure restrittive per contenere il virus”. Le ragioni del perché non l’ha fatto sono però più complesse, scrive.
Un fattore che entra in gioco è il federalismo, ipotizza. Quando, alla fine della prima ondata, la competenza di introdurre misure è passata ai cantoni, questi sono stati timidi nell’introdurre provvedimenti, secondo de Weck. Prima di tutto perché è difficile per un politico locale giustificare la chiusura di un’attività quando lo stesso tipo di servizio nel cantone a 5 minuti di distanza può restare aperto.
In secondo luogo, i cantoni si sono dimostrati esitanti poiché la responsabilità finanziaria di eventuali misure sarebbe poi ricaduta su di loro. Nell’articolo qui sotto, un’analisi delle critiche alle incongruenze del federalismo emerse durante la pandemia.
Secondo de Weck, tuttavia, il principale problema è un altro. In un Paese che deve in gran parte il suo successo a livello economico al liberalismo di mercato, al conservatorismo fiscale e alla forte etica del lavoro, la paura di frenare l’attività è troppo grande. A dimostrarlo, il politologo cita il ministro delle finanze elvetico Ueli Maurer: “Non possiamo permetterci un secondo lockdown”, aveva detto prima della seconda ondata, “non ci sono abbastanza soldi”.
Questo nonostante l’impatto sul debito sarebbe relativamente basso se confrontato ad esempio con quello atteso nella “frugale” Germania.
Questo approccio è stato criticato solo in maniera blanda dai media, aggiunge de Weck, e nessuna personalità di spicco e nessun partito politico si è schierato apertamente a favore di un nuovo lockdown sul modello dei Paesi vicini.
Nel prossimo video, l’intervista del Telegiornale a Joseph de Weck:
tvsvizzera.it/Zz/ats con RSI (TG del 12.11.2020)
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