Da 175 anni in Svizzera si vota spesso e su tutto, anche sulle bastonate
Le votazioni sui referendum (obbligatori o facoltativi) e le iniziative ritmano la vita di tutti i cittadini elvetici che dalla nascita della Svizzera moderna 175 anni fa, sono stati chiamati a votare sui temi più disparati: dalle bastonate alla creazione di un nuovo cantone.
Il sistema politico svizzero è basato sulla democrazia diretta che lo rende unico. Il popolo è chiamato regolarmente alle urne per pronunciarsi o sulle decisioni del Parlamento o su proposte di modifiche costituzionali. E ciò avviene con una frequenza senza pari nel resto del mondo.
Dalla nascita della Svizzera moderna con la votazione del 6 giugno 1848, gli aventi diritto di voto a livello federale sono stati chiamati alle urne 321 volte per pronunciarsi su un totale di 676 oggetti (considerando separatamente iniziativa e controprogetto). Il prossimo 18 giugno, diventeranno 322 e 679 con la decisione sull’imposizione minima OCSE, la legge Covid-19 e la legge sul clima e l’innovazione.
In media quindi negli ultimi 175 anni ci sono state meno di due votazioni federali all’anno e ogni volta si è votato su meno di due temi. Un numero bassissimo se confrontato con l’esperienza personale di chi è nato nell’ultimo secolo. Nei primi decenni di vita della Confederazione (quando a votare erano solo i maschi adulti) il ricorso alle urne era infatti rarissimo, esso è diventato molto più frequente dopo la Seconda guerra mondiale e, poi, ancor più a partire dagli anni Sessanta del Novecento. La crescita ha raggiunto il suo apice nell’ultimo decennio del XX secolo con ben 106 temi sottoposti al popolo.
La prima votazione federale
La prima votazione federale (almeno in parte popolare, dato che il procedimento non era uniforme) si tenne ufficialmente il 6 giugno 1848 sulla nuova Costituzione federale, quella che – con la proclamazione della sua approvazione il 12 settembre – diede vita alla Svizzera moderna. È stata una delle (finora) 143 volte in cui il popolo svizzero ha dovuto recarsi alle urne per esprimersi su un unico oggetto.
Fino al 1970, quando le iniziative erano rare (la prima venne approvata nel 1893 e riguardava il divieto della macellazione rituale) e il voto per corrispondenza non esisteva (è generalizzato dal 2006), era normale che i cittadini fossero chiamati a pronunciarsi più volte all’anno su una sola domanda. Dal 1971 tali occasioni sono invece diventate delle eccezioni. L’ultima volta è capitato il 10 febbraio 2019 (Iniziativa popolare fermare la dispersione degli insediamenti).
I temi: quando neanche diverse righe bastano
Una certa influenza sull’interesse suscitato dalle varie questioni sottoposte ai cittadini potrebbero averla anche i titoli dei temi sottoposti al popolo. Nell’Ottocento erano concisi e comprensibili ai più. Nel 1866, sotto il titolo generale di “Modifica parziale della Costituzione federale” si votò su nove questioni come “Unificazione dei pesi e delle misure” o su “Esclusione di certe pene, come le bastonate”.
Poi le denominazioni hanno cominciato tendenzialmente ad allungarsi arrivando fino ai 285 caratteri (spazi esclusi) del “Decreto federale del 01.10.2021 che approva e traspone nel diritto svizzero lo scambio di note tra la Svizzera e l’UE concernente il recepimento del regolamento (UE) 2019/1896 relativo alla guardia di frontiera e costiera europea e all’abrogazione dei regolamenti (UE) n. 1052/2013 e (UE) 2016/1624 (Sviluppo dell’acquis di Schengen)” sul quale si è votato un anno fa.
Affluenza bassa
Nel corso dei decenni le regole elettorali si sono molto evolute e spesso lo hanno fatto per tentare di contrastare la scarsa affluenza alle urne. Il fenomeno dei bassi di tassi di partecipazione accompagna infatti la democrazia diretta elvetica fin dai suoi albori con movimenti altalenanti legati soprattutto all’interesse per i vari temi sottoposti alle urne. E non è che nell’Ottocento, quando la lotta politica spesso si tramutava in aperta contesa, tutti andassero sempre a votare. Anche allora, malgrado le chiamate alle urne fossero meno frequenti, c’erano votazioni che registravano un tasso di partecipazione inferiore al 40%, come avvenuto, per esempio, l’11 luglio 1897.
Le votazioni più sentite
Le votazioni più sentite della storia svizzera hanno fatto registrare tassi di partecipazione attorno all’80%. La soglia in 175 anni è stata superata una sola volta. Era il 28 maggio 1933. Il popolo doveva decidere se approvare la legge federale che riduce temporaneamente gli stipendi e i salari delle persone al servizio della ConfederazioneCollegamento esterno. Data la situazione economica, era prevista una decurtazione dei salari del 7,5% per tutti: dai consiglieri federali ai giudici, dai funzionari agli apprendisti delle FFS. La questione richiamò alle urne l’80,5% degli aventi diritto (allora erano 1,125 milioni) e la maggioranza bocciò la misura.
L’anno successivo si tenne un’altra votazione sentitissima. L’11 marzo 1934 gli svizzeri si recarono alle urne sulla “legge federale per la protezione dell’ordine pubblicoCollegamento esterno” che, tra le altre cose, prevedeva pene fino a due anni di reclusione e multe fino a 5’000 franchi per chi partecipava a una manifestazione non autorizzata o non rispettava le condizioni contemplate nell’autorizzazione.
Registrò un tasso di partecipazione del 79% e anche in questo caso l’oggetto fu respinto. Esattamente come avvenne per la terza votazione con il più alto tasso di coinvolgimento dell’elettorato elvetico. Era il 6 dicembre 1992. Si votava sull’Adesione allo Spazio economico europeo. Andò alle urne il 78,7% degli aventi diritto che nel frattempo – data la crescita della popolazione, il suffragio femminile e l’abbassamento dell’età da 20 a 18 anni- erano diventati 4,5 milioni (trent’ anni dopo sono un milione in più).
+ Quell’opuscolo strumento della democrazia diretta
La domenica elettorale meno frequentata della storia svizzera è stata quella del 4 giugno 1972 quando in discussione c’erano i decreti federali sulla stabilizzazione del mercato edilizio e sulla protezione della moneta. Entrambi furono accettati con oltre l’80% dei voti a favore. Alle urne si recò però meno del 27% degli aventi diritto che l’anno precedente erano cresciuti da 1,65 a 3,56 milioni in virtù dell’introduzione del suffragio femminile a partire dalla votazione del 6 giugno 1971.
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