Delocalizzare in Ticino: cosa ci si guadagna (e chi ci perde)
A colloquio con tre imprenditori lombardi e con chi veglia sui flussi di aziende a cavallo della frontiera
La burocrazia domina il Paese, la pressione fiscale è alta, l’economia è in crisi, e così sono sempre di più gli imprenditori italiani che pensano di spostare la loro azienda in Svizzera e segnatamente nel Canton Ticino, che per prossimità geografica e culturale è la strada più semplice per delocalizzare, specie dal nord Italia.
Non a caso, la Regione Lombardia ha inviato a Roma una Proposta di legge al Parlamento per l’istituzione di Zone economiche speciali. Le ha promosse il governatore Roberto Maroni proprio in virtù del confine con la Svizzera, per sostenere l’economia lombarda “e contrastare la delocalizzazione”.
Un timore giustificato?
Le interviste
Chi rimane
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Paolo Federici [guarda l’intervista], titolare di un’azienda di trasporti internazionali e blogger, lancia una provocazione: “se mi trasferissi in Svizzera, il mio lavoro sarebbe più semplice e apprezzato, e i miei bilanci in attivo”. Ma non lascia l’Italia.
Chi ha delocalizzato
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Ornella Gambarotto e Riccardo Fuochi, imprenditori [guarda l’intervista], raccontano con soddisfazione il loro approdo nel Canton Ticino: uno vi ha fatto nascere un nuovo segmento dell’azienda, l’altra ha aperto una filiale. Ma entrambi hanno mantenuto le loro attività in Italia.
Inutile andarsene se non si è competitivi
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Fulvio Alvisi [guarda l’intervista], vice presidente della Camera di commercio di Como, mette in guardia: “un’impresa che non è competitiva in Italia, non può pensare di diventarlo cambiando sede”. In ogni caso esclude che il basso numero di imprese nella sua provincia sia riconducibile alla concorrenza ticinese.
Il pericolo del dumping
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Stefano Rizzi [guarda l’intervista], direttore della Divisione dell’economia del Dipartimento finanze ed economia Cantone Ticino, sta all’erta: il rischio che confluiscano aziende a basso valore aggiunto, e spingano i salari al ribasso, è concreto.
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