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Dick Marty, “un magistrato prestato alla politica”

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Dick Marty nel 2011 davanti al Palazzo d'Europa di Strasburgo. Keystone / Martin Ruetschi

Tra i politici svizzeri più noti a livello internazionale per le sue attività di inchiesta per il Consiglio d'Europa, Dick Marty si è spento giovedì nella sua casa in Ticino all'età di 78 anni.

Ripercorrere tutti gli incarichi assunti, le indagini condotte e le cariche elettive ricoperte da Dick Marty, morto oggi, giovedì 28 dicembre, all’età di 78 anni dopo una malattia che aveva reso pubblica nelle sue ultime interviste e nel libro Verità irriverenti uscito in novembre, è un compito difficile.

La notizia e le reazioni alla scomparsa di Dick Marty nell’edizione serale del TG della RSI:

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Magistrato e uomo politico – anzi, “un magistrato prestato alla politica” come lo definì l’ex procuratore pubblico Piergiorgio Mordasini – è stato certamente una delle personalità ticinesi più in vista sul piano nazionale e internazionale in questi ultimi decenni. Più semplice, invece, trovare un filo conduttore: strenuo difensore dei diritti umani, la sua è stata una vita spesa alla ricerca della verità e della giustizia. Quest’ultima condizione imprescindibile della democrazia, come aveva lui stesso ricordato in un’intervista di alcuni mesi fa.

“Quando si parla dei diritti dell’uomo, di giustizia, puoi avere tutte le agende che vuoi ma la priorità è sempre la giustizia. Questa è la mia scelta e su questo non voglio cedere”, aveva affermato.

Nato a Sorengo il 7 gennaio del 1945 – ma la famiglia del padre era dell’Alto Vallese – dopo le scuole a Lugano aveva studiato diritto a Neuchâtel ottenendo la licenza nel 1969. Si era quindi specializzato a Friburgo in Brisgovia e nel 1974 aveva conseguito il dottorato con una tesi – premiata – sul ruolo del giudice nell’applicazione delle sanzioni penali. Dopo alcuni anni presso il Max-Planck-Institut, lasciò la ricerca per la pratica e la magistratura fu il suo primo approdo in Ticino. Dapprima sostituto procuratore (dal 1975) e poi procuratore pubblico sopracenerino dal 1978 al 1989.

Cento chili di eroina, la Libano Connection ed Elisabeth Kopp

Furono quelli gli anni delle grandi inchieste contro la criminalità organizzata e il traffico di droga, culminate nel più importante sequestro di eroina e morfina base della storia svizzera, 100 chili in tutto intercettati su un camion a Bellinzona, dove fu tratto in arresto il trafficante Haci Mirza.

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Le indagini gli valsero nel 1987, insieme al commissario Fausto Cattaneo scomparso nel 2019, i riconoscimenti (“Award of Honor”) del Dipartimento di giustizia statunitense e della International Narcotic Officers Association.

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Nel luglio 1988 Marty fece poi arrestare i fratelli Jean e Barkev Magharian, sospettati di riciclare i proventi degli stupefacenti. A margine di quella inchiesta, la Libano Connection, compariva anche il nome della Shakarchi Trading, nel cui consiglio di amministrazione sedeva Hans Kopp.

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Venutane a conoscenza qualche mese dopo, Elisabeth Kopp informò il marito che si dimise, ma questo le costò la carriera politica. Ammise di averlo avvertito e il 12 gennaio 1989 fu costretta a lasciare il Consiglio federale. A conferma della visibilità acquisita con il suo lavoro, in quel 1989 Marty fu proclamato “uomo svizzero dell’anno” dal pubblico dell’allora TSR, la televisione romanda.

Le prigioni segrete della CIA, la Cecenia e il Kosovo

Le inchieste di Marty sono raccontate nel libro Una certa idea di giustizia uscito nel 2020 con la prefazione dell’ex procuratore della Repubblica di Torino Armando Spataro. Quelle citate in veste di procuratore, ma anche quelle condotte dopo che nel 1998 divenne membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Consiglio che il 1° dicembre 2023 ne ha premiato il lavoro attribuendogli il suo riconoscimento Pro Merito.

Furono suoi nel 2006 e 2007 i due rapporti su una “ragnatela globale” di detenzioni e trasferimenti segreti della CIA nel quadro della lotta al terrorismo e sulla probabile collusione di 14 Stati membri del Consiglio d’Europa in questo sistema. Non risparmiò la Svizzera, che avrebbe tollerato l’uso del suo spazio aereo per i voli di trasferimento dei prigionieri.

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Conclusioni, quelle di Marty, confermate poi a due riprese dall’Assemblea che approvò i rapporti: i Paesi europei avevano chiuso gli occhi sulle extraordinary renditions e prigioni segrete erano state create in Polonia e Romania. Un’inchiesta condotta fra mille difficoltà, critiche e resistenze, anche da parte della stessa Svizzera. “Alle gegen Marty” (“Tutti contro Marty”), aveva titolato un organo di stampa di oltre San Gottardo.

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“Quando sai che sei sulla via della verità e disponi di mezzi di prova sicuri puoi resistere, anzi ti dà forza. Devi solo avere la forza in quel momento di stare zitto e non reagire, perché al momento buono saranno loro a dover star zitti”, aveva raccontato a Cliché in marzo, in una delle sue ultime apparizioni televisive alla RSI. Nel dicembre 2022, a Storie, aveva tratto conclusioni simili: “Credo sia importante non mollare mai, perché spostando un sassolino dopo l’altro qualcuno alla fine constaterà che abbiamo spostato montagne”.

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Nelle vesti di relatore per il Consiglio d’Europa, Marty si era recato nel 2010 anche nel Caucaso del Nord: Cecenia, Daghestan e Inguscezia per documentare le violazioni dei diritti umani commesse dopo l’intervento militare russo contro i separatisti ceceni, iniziato nove anni prima. “La missione che a livello umano mi ha colpito di più”, avrebbe poi scritto.

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E sempre nel 2010, in dicembre, denunciò in un nuovo rapporto commissionatogli a Strasburgo il traffico di organi condotto alla fine degli anni ‘90 dall’UCK, l’esercito di liberazione del Kosovo. Le vittime erano prigionieri serbi. Una vicenda che era stata evocata in un primo tempo in un libro dell’ex procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia, Carla Del Ponte.

Sotto protezione

Questo caso lo ha “inseguito” e raggiunto nei suoi ultimi anni: nell’aprile del 2022 era venuto alla luce grazie alla RTS che già da 16 mesi (dal 18 dicembre 2020 per la precisione) Marty viveva sotto stretta protezione (grado 4 su 5) da parte della polizia. Gli era stato proposto anche di cambiare nome e indirizzo. “Ma su quello non sono nemmeno entrato in materia”, aveva poi raccontato, rimpiangendo quanto queste minacce avessero pesato anche sulla sua famiglia che, fino a quel momento, era sempre riuscito a “tenere fuori da tutto”.

La misura di sicurezza durata un anno e mezzo era dovuta a informazioni di intelligence, secondo le quali la sua vita era minacciata da elementi dei servizi segreti serbi, intenzionati poi a far ricadere la colpa sui kosovari. “Questa vicenda, se ci fosse stata la volontà politica a Berna, credo che la si sarebbe potuta risolvere più in fretta”, aveva affermato in aprile alla RSI, accusando esplicitamente la Confederazione di “non volere problemi”. Anche questa esperienza è stata raccontata in un libro, Sous haute protection, e poi nell’ultima sua pubblicazione: in Verità irriverenti denunciava “l’inchiesta negata” contro i suoi persecutori. L’autorizzazione al Ministero pubblico da parte del Dipartimento federale di giustizia e polizia (all’epoca guidato da Karin Keller-Sutter) richiese otto mesi, altri passi vennero mossi con significativo ritardo e diverse sollecitazioni da parte di Marty stesso vennero lasciate senza risposta.

L’UCI e il doping

Delle inchiesta condotte da Marty si può citare infine anche quella che l’Unione ciclistica internazionale gli affidò nel 2014, per far luce sulla gestione degli ex dirigenti Hein Verbruggen e Pat McQuaid e sulla lotta al doping. Ne emerse in particolare che Lance Armstrong aveva beneficiato di un trattamento di favore.

Dalla magistratura alla politica

Nel mezzo fra queste inchieste, la politica (cantonale e federale) nella quale fece il suo ingresso nel 1989, chiamato a sostituire in Consiglio di Stato il partente Claudio Generali. Decise di accettare la sfida e nel 2015 raccontò perché.

“Ero ambizioso per il mio cantone, dichiarò. Volevo un cantone meno piagnucoloso, più sicuro di sé e fiducioso nei propri mezzi”.

Esponente del Partito liberale radicale (PLR), guidò il Dipartimento delle finanze e delle pubbliche costruzioni, diventato finanze ed economia nel 1992, anno in cui fu anche presidente del Governo.

Gli anni a Berna

A Bellinzona rimase sei anni, poi fu la volta di Berna. Del 1995 è l’elezione al Consiglio degli Stati, dove fu poi riconfermato tre volte. Partecipò a numerose missioni parlamentari all’estero, dal Ruanda a Cuba, dall’Iran al Guatemala e a Taiwan.

Fu membro in particolare delle commissioni delle finanze, della politica estera, delle istituzioni politiche e degli affari giuridici, da lui presieduta dal 1999 al 2001. Nella veste di parlamentare contribuì a fare le leggi che fin lì era stato chiamato ad applicare. Tra le battaglie politiche da lui condotte, e vinte, si può ricordare quella per elargire le competenze del Ministero pubblico della Confederazione ai casi di criminalità organizzata e internazionale. Si schierò inoltre per l’indipendenza della stessa procura federale, il cui capo fin a quel momento veniva scelto dal Governo, che esercitava anche il compito di vigilanza. Una riforma il cui bilancio dopo qualche anno “è deludente e non poco”, aveva poi scritto in Una certa idea di giustizia, ma “sono ancora convinto che la via imboccata sia quella giusta” per affrontare le sfide poste dalla criminalità moderna.

Di quegli anni sono anche altri incarichi: la presidenza di Svizzera Turismo, assunta dal 1996 al 2007 su insistenza dell’allora consigliere federale Jean-Pascal Delamuraz, o quella della Fondazione svizzera per lo scautismo, per non citarne che un paio. Da “senatore” fu inoltre lui, nel 1999, a proporre di tenere a Lugano una sessione extra muros delle Camere federali. Una proposta che venne accettata. Dal 5 al 23 marzo 2001 il Parlamento si riunì quindi in Ticino, per la seconda volta fuori dalle mura di Palazzo dopo Ginevra nel 1993.

A Marty mancò forse solo l’elezione in Consiglio federale. Al momento di designare il successore di Pascal Couchepin, nel 2009, il PLR puntò su Didier Burkhalter (poi eletto) e Christian Lüscher. Il ticinese, che non era candidato ufficiale, ottenne comunque 34 voti al primo turno prima di uscire di scena al terzo.

Al termine della quarta legislatura alla Camera alta, Marty non si ripresentò nel 2011. In quell’anno, il 14 ottobre, l’Università di Ginevra gli concesse un dottorato honoris causa “per il suo impegno senza concessioni”. Non fu però il suo ultimo impegno politico: si batté ancora in favore dell’iniziativa per multinazionali responsabili, che nel 2020 convinse il 50,7% dei votanti e delle votanti ma non la maggioranza dei Cantoni.

Avrebbe a quel punto voluto lasciare la scena pubblica e dedicarsi all’ozio “fatale solo ai mediocri”, come scrisse citando Camus, ma sopraggiunsero le minacce alla sua persona e poi la malattia. “Un nemico interno” di una sfida che riteneva di non poter vincere. Ma anche l’occasione per mettere nero su bianco non un bilancio, bensì “una riflessione che ho voluto prima di tutto fare per me stesso”. Quelle Verità irriverenti riguardo al ruolo della Svizzera, che vedeva legato “alla politica umanitaria”, al futuro del federalismo e della neutralità e al cambiamento degli equilibri geopolitici mondiali, con il declino dell’Occidente e il degrado della democrazia dal quale anche la Svizzera non è immune.

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