Il Covid lascia a casa 4’000 frontalieri
Il numero dei lavoratori frontalieri continua ad aumentare in Ticino. Eppure, il sindacato OCST comunica che entro la fine dell'anno saranno ben 4'000 i frontalieri che avranno perso il lavoro quest'anno in Ticino. Ma la situazione è critica anche per i lavoratori residenti.
Un dato è certo. Nei primi nove mesi dell’anno 3’000 lavoratori frontalieri hanno perso il loro impiego in Ticino. Questo nonostante durante la pandemia il numero di frontalieri sia leggermente cresciuto. “Sono cifre assolutamente realistiche – conferma Andrea Puglia, responsabile dell’Ufficio dei frontalieri del sindacato OCST – ricavate sulla base dei formulari di disoccupazione compilati dai frontalieri senza lavoro per chiedere il versamento dell’indennità di disoccupazione. Richieste che dall’italiana Inps (istituto nazionale di previdenza sociale) giungono a noi”.
“La situazione non è molto diversa però per i lavoratori residenti. Anzi, è anche peggiore”. Luca Camponovo, OCST
Considerato che la cassa disoccupazione dell’OCST accoglie più o meno l’80% dei frontalieri, Andrea Puglia conferma che il sindacato “sa esattamente quanti frontalieri hanno perso il loro impiego in questo 2020”.
Con una stima molto attendibile, il sindacato ritiene che entro la fine dell’anno i frontalieri vittime delle misure di contenimento della pandemia supereranno i quattromila.
La situazione non è molto diversa però per i lavoratori residenti. Anzi, è anche peggiore. “Da gennaio a ottobre 2020 – sottolinea Luca Camponovo, consulente cassa disoccupazione dell’OCST – i residenti che hanno perso il lavoro, in cifre assolute, sono 1’000 in più rispetto ai frontalieri”. Come dire che pandemia e disoccupazione non guardano in faccia a nessuno, tanto meno controllano i passaporti.
Lavori in presenza quelli più toccati
I settori economici maggiormente colpiti sono naturalmente quelli legati alla presenza dei lavoratori sul fronte. “Se proprio dobbiamo fare una classifica – aggiunge Andrea Puglia – direi che il commercio al dettaglio è il settore più toccato, seguito da quello turistico, ovvero il settore alberghiero e della ristorazione. Infine, il comparto industriale: coinvolte soprattutto le aziende legate all’export”. E la gran parte delle industrie ticinesi, va ricordato, vive proprio sull’esportazione dei propri prodotti.
“Sono tutti settori in cui vi è una forte presenza di lavoratori frontalieri – risponde Andrea Puglia dell’OCST – però attenzione a generalizzare perché non è corretto affermare che è il frontaliere in sé ad essere colpito, bensì sono interi settori economici che sono stati fortemente tartassati dalla pandemia”.
Licenziamenti ciclici
La pandemia non è però l’unica causa della crescita della disoccupazione. Andrea Puglia ricorda infatti un dato importante che non va né dimenticato né sottovalutato: parte di questi licenziamenti sono ciclici.
“Un dato importante non va né dimenticato né sottovalutato: parte di questi licenziamenti sono ciclici”. Luca Puglua, OCST
Cosa significa? Il Ticino è un cantone a vocazione turistica. La sua stagione migliore è quella primaverile ed estiva. Molti lavoratori, soprattutto quelli attivi nel settore alberghiero e della ristorazione, vengono licenziati durante la bassa stagione per poi venir riassunti verso Pasqua (la maggior parte di questi sono i lavoratori che un tempo avevamo un permesso stagionale di lavoro, ora abolito).
Il grafico sotto mostra molto bene questo andamento: nel 2019 la minor disoccupazione la si ritrova nell’alta stagione turistica (da giugno ad agosto), mentre nei mesi autunnali e invernali aumenta a causa appunto dei cosiddetti licenziamenti ciclici.
“Il 2020 è inoltre un anno speciale – commenta Luca Camponovo – perché i lavoratori ‘stagionali’ non sono stati riassunti nel mese di marzo come capita ogni anno a causa del lockdown e questo ha sicuramente inciso sul numero di lavoratori oggi senza impiego.”
La differenza tra il 2019 e il 2020 è ovvia. Ancora Luca Camponovo: “A febbraio 2019 erano iscritte alla nostra cassa disoccupazione 5’600 persone, nel febbraio 2020 erano 5’800. Un dato di partenza molto simile. A marzo 2019 sono scesi a 5’000 che sono ulteriormente calati a 4’500 ad aprile 2019. Nel marzo 2020 invece sono aumentati a 6’200, raggiungendo il picco ad aprile: 6’900 persone senza lavoro”.
Naturalmente, se nel 2019 a ottobre è iniziato l’aumento dei disoccupati a causa dei licenziamenti ciclici, nell’ottobre 2020 questo aumento è stato relativo considerato che la maggior parte dei lavoratori stagionali non è stata riassunta a inizio 2020. “Per i dati stagionali – chiarisce ancora Luca Camponovo – occorre attendere i dati di novembre. Solo allora sarà possibile capire quanti ‘lavoratori stagionali’ sono stati riassunti durante la pandemia e dunque licenziati a ottobre”.
Ombre sul lavoro ridotto
Andrea Puglia non nasconde le proprie preoccupazioni: il 31 dicembre terminerà la procedura semplificata che garantisce oggi alle aziende un accesso immediato allo strumento dell’orario ridottoCollegamento esterno. “Se non dovesse venire rinviato questo termine – conclude – si tornerebbe alla procedura di richiesta ordinaria che prevede per le imprese passaggi burocratici più complessi”.
Che questo strumento del lavoro ridotto sia stato essenziale per salvare l’economia ticinese lo rivela il grafico seguente. Ad aprile, pressoché la metà dei lavoratori attivi in Ticino (in totale sono circa 235’000) ne beneficiava.
Per “lavoro ridotto” si intende una riduzione temporanea o una sospensione completa dell’attività dell’azienda, pur mantenendo i rapporti contrattuali di lavoro. Il lavoro ridotto è generalmente da ascrivere a motivi economici a provvedimenti ordinati dalle autorità o a circostanze indipendenti dalla volontà del datore di lavoro. Come nel nostro caso la pandemia e le conseguenti misure di contenimento.
L’indennità per lavoro ridotto è stata creata per prevenire i licenziamenti nel caso di perdite di lavoro temporanee e inevitabili.
Contrariamente a quanto avviene per l’indennità di disoccupazione, le prestazioni vengono pagate al datore di lavoro. Ogni lavoratore ha comunque il diritto di rifiutare l’indennità per lavoro ridotto (che rappresenta dell’80% del salario normale), nel qual caso il datore di lavoro è tenuto a continuare a versare l’intero salario. Tuttavia, per i lavoratori che non accettano l’indennità aumenta il rischio di licenziamento.
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