Ecco cosa fanno i soldati svizzeri in Kosovo
Dopo giorni incandescenti al confine tra Serbia e Kosovo è giunto un primo segnale di distensione, con l’inizio della rimozione delle barricate di recente erette dai serbi nel nord del Kosovo. Sembra quindi essere scongiurato un ulteriore peggioramento della situazione, anche se i timori di un conflitto restano.
E la situazione viene attentamente monitorata anche dalla Svizzera, presente in loco con 195 militari dell’esercito elvetico: si tratta del contingente di Swisscoy (Swiss Company), che già dal 1999 sostiene la Kosovo Force (KFOR) guidata dalla NATO. Una missione di promovimento della pace che per i soldati svizzeri avrebbe dovuto terminare nel 2023. Il 23 novembre scorso il Consiglio federale ha però deciso di prolungarla fino al 2026 e ha inviato il relativo messaggio al Parlamento. Il costo annuo è di 40,925 milioni di franchi.
“I più recenti avvenimenti nel nord del Kosovo mostrano che in questa parte del paese la situazione è fragile e attualmente tesa” afferma su richiesta della RSI Daniel Seckler, responsabile della comunicazione di Swissint, il centro nazionale per gli impieghi di promovimento della pace all’estero a Stans (nel Canton Nidvaldo). E aggiunge: “In generale, nella maggior parte del Kosovo la situazione può essere considerata stabile e tranquilla, anche grazie al dispiegamento della KFOR”.
Priorità alla sicurezza
In queste settimane anche i soldati elvetici sono tuttavia confrontati con un peggioramento della situazione. Ma non sono esposti a maggiori rischi, assicura Seckler: “I membri Swisscoy sono preparati e addestrati per il loro impiego in Kosovo, anche con una formazione sulla situazione attuale e su come procedere in caso di tensioni politiche o etniche”. E il contesto locale, sottolinea, è costantemente monitorato dalla KFOR e dal contingente svizzero, nonché da Swissint. “La sicurezza dei soldati ha la massima priorità, al momento non ci sono segnali che questa non sia garantita”.
In caso di conflitto ritiro delle truppe
Nella peggiore delle ipotesi, i soldati elvetici potrebbero dover fare i conti con un’invasione serba in Kosovo: in tal caso cosa accadrebbe? “Fondamentalmente, la Svizzera ha in qualsiasi momento la possibilità di ritirare i membri di Swisscoy. Una tale decisione potrebbe essere presa dal Consiglio federale se, per esempio, la sicurezza dell’esercito svizzero non fosse più garantita”. E si basa su un’attenta valutazione della situazione. Fatto sta che al momento nulla indica che i soldati possano essere in pericolo, quindi “attualmente non si parla di un ritiro” dice Seckler.
La Legge militare, su cui si basa la missione della Swisscoy in Kosovo, prevede che gli impieghi a favore del promovimento della pace siano ordinati su mandato dell’ONU o dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Ed esclude “la partecipazione ad azioni di combattimento di imposizione sulla pace”.
Missione di promovimento della pace
Per la Svizzera quella in Kosovo è una missione di promovimento della pace che vede attualmente coinvolti – come detto – 195 soldati elvetici volontari e armati con pistola, fucile d’assalto e spray irritante per la difesa personale.
La partecipazione militare della Swisscoy alla Kosovo Force (KFOR) risale alla decisione del Consiglio federale del 23 giugno 1999 (quasi due settimane dopo la fine della guerra tra la Serbia e il Kosovo) che si fonda su una risoluzione ONU relativa alla situazione in Kosovo. Quest’ultima autorizza la presenza di un dispiegamento civile e militare internazionale per garantire la sicurezza. Nel giugno del 2020, il Parlamento ha approvato una proroga del mandato fino alla fine del 2023.
A novembre il Consiglio federale ha adottato un messaggio per un ulteriore prolungamento, fino al 2026 e chiede anche di poter aumentare l’effettivo del contingente (attualmente di 195 militi) di al massimo 30 militari per permettere all’esercito di rispondere a eventuali necessità supplementari della KFOR. Attualmente i militari Swisscoy sono stazionati a Ferizaj, Malisevo, Mitrovica, Novo Selo, Pec, Pristina, Prizren, Zubin Potok e nella base aerea a Slatina.
Ma quali sono, concretamente, i loro compiti sul terreno? “La Swisscoy sostiene la KFOR nei suoi compiti principali di garantire un contesto sicuro e stabile e la libertà di movimento in Kosovo” spiega ancora Seckler. I militi sono operativi nelle squadre di osservazione, nelle aree del genio e con ruoli in seno al comando della KFOR. Si contano anche prestazioni mediche, nella logistica per il trasporto stradale e aereo, e a favore della polizia militare e dell’eliminazione di ordigni esplosivi.
Non solo Kosovo
I militari dell’esercito svizzero non sono presenti soltanto in Kosovo. Attualmente si contano infatti ben quindici missioni in diciannove Paesi in Europa, Africa e Asia, con l’impiego di complessivamente circa 280 soldati, secondo i dati di Swissint. Nell’ambito del promovimento della pace, la missione in Kosovo è comunque quella di maggiore portata dell’esercito svizzero.
La più lunga missione elvetica all’estero è invece quella ancora in corso nella Corea del Sud, a ridosso della linea di demarcazione militare coreana. Si tratta della partecipazione alla Commissione di supervisione delle nazioni neutrali sull’armistizio in Corea, che ha come compito principale di sorvegliare il rispetto del trattato siglato nel 1953. Ed è proprio già nel 1953 che per questa missione il Consiglio federale decise di inviare 146 militari armati in Estremo Oriente. Oggi rimangono in servizio cinque ufficiali svizzeri e altrettanti svedesi, stazionati a Panmunjom (è il villaggio sul confine in cui all’epoca venne firmato l’armistizio).
Un’altra missione prevede, dal 2004, fino a venti militari svizzeri in Bosnia ed Erzegovina. Ulteriori soldati sono impiegati quali osservatori e ufficiali di Stato maggiore dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel Vicino Oriente, nella Repubblica democratica del Congo, nel Sudan del Sud, in Mali, nel Kashmir e nel Sahara occidentale. E l’esercito svizzero è anche impegnato, con specialisti inviati in varie parti del mondo, nello sminamento a scopo umanitario.
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