Ristoranti e consegne a domicilio: “una goccia d’acqua nell’oceano”
In questo periodo di chiusura, molti ristoranti cercano di stare a galla organizzando consegne a domicilio. Ma guadagnare qualcosa è difficile.
Dal 19 marzo scorso tutti i bar e ristoranti svizzeri sono chiusi e per ora non è ancora stata fissata una data di riapertura.
Diversi ristoranti hanno cercato di correre ai ripari, organizzando delle consegne a domicilio. Questo sistema non è però di sicuro la panacea. “È solo una goccia d’acqua nell’oceano”, afferma Stephan von Matt, proprietario di tre esercizi pubblici a Zurigo e che ha deciso di fare affidamento sul servizio di consegna Uber Eats. “I ristoranti in cui il sistema di consegna funziona bene riescono ad avere tra il 20 e il 30% del fatturato normale”, prosegue von Matt. Una proporzione che naturalmente non basta per coprire salari e affitto.
Un’analisi condivisa da Reto Frei, che dirige la catena di ristoranti vegetariani Tibits, presente sul sito Eat.ch, secondo cui essere redditizi sulle piattaforme di consegna è difficile, poiché anche se il numero di ordini è prevedibile, le cifre rimangono modeste.
L’ubicazione è importante
Secondo Julien Graf, dell’organizzazione ombrello del settore Cafetiersuisse, il successo nelle consegne a domicilio dipende molto dall’ubicazione e dal tipo di clientela. “Per quei ristoranti situati in zone commerciali o di uffici, dove oggi il cliente-tipo è assente, l’attività di consegna spesso non è redditizia”.
Quello economico non è però l’unico aspetto che deve entrare in linea di conto, ritiene Stephan von Matt. Proporre questo tipo di servizio permette anche ai ristoratori di mantenere il contatto con la clientela.
Per una struttura indipendente è però naturalmente difficile mettere in piedi un servizio di consegne. Per questo molte fanno capo a piattaforme già affermate, come appunto Uber Eats, Eat.ch, Takeaway.com o Smood.ch, che prelevano fino al 30% di commissione. Per i ristoratori significa un terzo di introiti in meno, senza dimenticare che l’iscrizione a queste piattaforme è spesso a pagamento. Il vantaggio è che permettono di allargare il raggio di distribuzione.
Cresce l’attività online
Queste strutture confermano che l’attività è in aumento. Eat.ch registra ad esempio il 40% di visite in più e attualmente i ristoranti iscritti sono tre volte più numerosi che in periodo normale.
Presso Uber Eats, gli ordini sono di oltre quattro volte superiori alla norma. Takeaway.com ha da parte sua registrato l’iscrizione di 130 ristoranti supplementari nelle ultime settimane. Ad aumentare è pure il valore medio degli ordini passati dai clienti.
Il dilemma degli affitti
Oltre alle consegne a domicilio, per far fronte a questo periodo difficile i ristoratori possono far capo agli aiuti governativi per sostenere gli indipendenti colpiti dai provvedimenti della Confederazione per combattere il coronavirus.
I crediti, che dovranno comunque essere rimborsati, e le indennità di perdita di guadagno rappresentano però pure una goccia nell’oceano, per molti ristoratori e commercianti in generale.
A pesare sono soprattutto gli affitti. Mercoledì la Commissione dell’economia e tributi del Consiglio nazionale ha votato una mozione che chiede al Governo di prevedere una misura “in base alla quale i gestori di ristoranti e di altre aziende di cui il Consiglio federale ha disposto la chiusura debbano versare al loro locatore, per la durata della chiusura, soltanto il 30%”.
Finora il Governo si era limitato a invitare locatori e locatari a mettersi d’accordo. Un approccio che però spesso non è coronato da successo.
Le autorità vodesi – un unicum a livello svizzero – hanno invece trovato una soluzione a livello cantonale. Rappresentanti dei locatari e dei proprietari hanno infatti raggiunto un’intesa secondo cui piccoli negozianti e ristoratori per i mesi di maggio e giugno dovranno pagare solo un quarto dell’affitto. Il locatore rinuncia al 50%, il locatario pagherà il 25% e il cantone il restante quarto.
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