Violenza domestica, un fenomeno che anche in Svizzera ha ormai raggiunto numeri drammatici. Solo nel 2022 sono stati quasi 20mila i reati commessi in questo ambito, tra i quali 25 omicidi (oltre la metà del numero totale in un anno).
Keystone / Luis Berg
Le donne vengono uccise, perché donne, ovunque. Sabato sarà la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un tema più che mai attuale in Italia, dopo il caso della 22enne Giulia Cecchettin, ma che riguarda da vicino anche la Svizzera.
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tvsvizzera.it/fra con RSI
Nella Penisola su 60 milioni di abitanti, vengono uccise una media di otto donne al mese. Nella Confederazione invece i femminicidi al mese sono 2, ma su una popolazione di 9 milioni. Parliamo di donne uccise da uomini che sono o sono stati i loro compagni, o che non le hanno mai potute avere.
Il patriarcato nelle nuove generazioni
“Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere, è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela e non ci protegge”, così si è espressa la sorella di Giulia Cecchettin, Elena, sui social media. La 22enne, studentessa prossima alla laurea, è stata trovata in un dirupo, in provincia di Pordenone, pugnalata a morte dal suo ex ragazzo, anche lui 22enne. Anche lui è stato ritrovato, lunedì in Germania, dove si era recato in fuga dopo l’omicidio.
Molti di questi casi durano nell’immaginario collettivo qualche giorno. Poi per la maggior parte vengono dimenticati, anche dai media. Ma con Giulia sembra essere diverso: “Credo che questo caso colpisca soprattutto per la giovane età dei due ragazzi – racconta ai microfoni della RSI Gabriela Giuria Tasville, giurista, direttrice della Fondazione Azione Posti Liberi e attiva presso la Fondazione diritti umani – Per anni abbiamo avuto l’illusione che le nuove generazioni potessero essere più sensibili su determinati argomenti.
Confrontarsi col fatto che un ragazzo di 22 anni possa uccidere una sua fidanzata è qualcosa di tragico e fa riflettere tantissimo sul fatto che sulle donne, ancora oggi, c’è questo retaggio culturale. Le donne sono ancora considerate di proprietà di qualcuno”.
Secondo dei dati raccolti dall’istituto nazionale di statistica italiano, il 17,7% degli intervistati, senza grosse differenze fra uomini e donne, ritiene accettabile che l’uomo controlli in qualche modo la compagna guardando, per esempio, il telefono abitualmente. “Nel 30% degli uomini, tra i 18 e i 29 anni, c’è addirittura un aumento della necessità del controllo, ovvero nelle giovani generazioni, e questo è molto inquietante – spiega Cinzia Sciuto, filosofa, saggista, capo-redattrice di Micromega, che si occupa di diritti civili, laicità e femminismo – Alla base del femminicidio ci sono degli uomini che non riescono a tollerare di dover fare i conti con l’emancipazione delle donne”.
“L’Ufficio federale di statistica svizzero sono anni che fa una distinzione tra i reati violenti e quelli in ambito domestico. Le cifre mostrano che nel 2022 la maggior parte degli omicidi, degli attacchi, sono stati commessi da uomini nei confronti di donne. La violenza sulle donne provoca più morti degli incidenti stradali delle malattie. È questo il dato che non bisogna assolutamente perdere di vista”, puntualizza Tasville.
Per tentare di farvi fronte al fenomeno, da qualche tempo alcuni Cantoni romandi organizzano una formazione nelle farmacie, con l’obiettivo di permettere al personale di meglio identificare e aiutare le vittime. Si tratta di Vaud, Ginevra e ora anche Neuchâtel. Vediamo:
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Servono pene più severe
Solo in pochissimi Paesi in Europa esiste il reato specifico di femminicidio, questo rende difficile avere delle statistiche paragonabili tra i vari Paesi. Per le Nazioni Unite è infatti importante identificare un reato come femminicidio e non semplicemente come omicidio.
“L’aggravante di genere è fondamentale, le donne sono in pericolo nei luoghi che dovrebbero essere per loro sicuri. Spesso e volentieri è chi dovrebbe prendersi cura di te, amarti, essere un tuo compagno di vita – nel migliore dei casi – il responsabile di questi atti. Una cosa fondamentale potrebbe essere non far gravare sempre l’onere della prova sulla vittima, perché noi siamo in una situazione dove le donne devono dimostrare che sono vittime e questo rende ancora molto complesso il tutto perché c’è uno stigma sociale tremenda”, continua Tasville.
Delle pene molto più severe di quelle attuali, dove c’è l’aggravante del reato della donna uccisa proprio in quanto donna, potrebbero essere efficaci dal punto di vista del fattore culturale: “Potrebbero essere un segnale da parte della politica e della società per dire quanto seriamente si prende in considerazione il tema.
Non credo affatto al valore deterrente della pena, lo dimostrano tantissimi studi, non c’è sostanzialmente quasi nessuna correlazione tra la severità della pena e la quantità e il numero di delitti commessi e anche nei Paesi dove c’è la pena di morte, non c’è sicuramente un minor numero per esempio di omicidi. Non ha un valore deterrente in sé, ha un valore simbolico molto forte che però deve essere accompagnato a quello che si diceva prima, le donne devono essere innanzitutto credute – conclude Sciuto – Perché la maggior parte delle donne ha semplicemente paura di denunciare? Perché ha paura banalmente di non essere creduta e che gli elementi vengano sottovalutati”.
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