I risvolti ticinesi del commercio di droga dell’Isis
Nuovi, importanti retroscena sul caso del 45enne italiano del Luganese finito nelle maglie dell’inchiesta “Captagon”, l’operazione che nel 2020 ha permesso il sequestro, nel porto di Salerno, di qualcosa come 17 tonnellate di droga (tre di hashish e 14 di anfetamine, il captagon appunto).
L’uomo è sospettato di avere curato il trasporto dei container, partiti dalla Siria e destinati alla Libia, per conto dello Stato Islamico, che fa del commercio di stupefacenti una delle sue fonti di finanziamento. Successivamente avrebbe anche cercato di organizzare – stavolta per via aerea, su richiesta di criminali albanesi – altre due spedizioni: una dal Sud America, di 600 chili di cocaina; l’altra dal Nord Africa, di un quantitativo ancora più ingente di hashish.
L’amico di Biasca
Il 12 novembre scorso la procura di Napoli ha disposto il fermo di tre sodali dell’imprenditore. Tra loro un italiano di 56 anni residente in Riviera. Il suo – ha rivelato lunedì il “Quotidiano” – è un nome noto. Si tratta infatti del titolare di tre società di Biasca, che nel 2010 era stato arrestato oltre confine per un presunto traffico di armi verso l’Iran. Nell’ottobre del 2017 il Tribunale penale federale di Bellinzona lo prosciolse dal reato più pesante, legato all’esportazione di cannocchiali per fucili. La vendita di alcuni giubbotti da immersione gli costò comunque la parziale conferma del decreto d’accusa, e una pena pecuniaria ridotta.
La casa di Barbengo
Il 45enne, in carcere dal mese di agosto, risiedeva a Barbengo. Abitava – altro dato emerso solo ora – in una casa attaccata alla chiesa di Sant’Ambrogio, di proprietà della cassa pensioni della Città di Lugano. E questo dal 2010, quando su di lui pendevano già dei precedenti penali. Com’è potuto succedere? Perché i controlli non hanno funzionato? Il Municipio, interpellato dalla RSI su indicazione dei vertici della cassa pensioni, non ha ancora risposto.
La fiduciaria luganese
I carichi contenenti il captagon avevano come destinataria la Gps Global Aviation Supplier, di cui il faccendiere era dipendente, e che risulta formalmente intestata a una donna, del tutto estranea alla vicenda. A fornirgli il nome dell’amministratrice unica – spiega il 45enne in una conversazione telefonica – era stata la fiduciaria luganese presso la quale la Gps ha sede. Fiduciaria comparsa in passato nei radar di un’altra indagine italiana, avviata per una frode fiscale da decine di milioni di euro (in entrambe le circostanze le autorità elvetiche non hanno rilevato comunque irregolarità di sorta).
L’imprenditore di Barbengo nega di essere stato a conoscenza del fatto che il materiale industriale fermato a Salerno nascondesse della droga. “È la verità – spiega il difensore, Michele Iudica. Altrimenti si sarebbe almeno premurato di non indicare, sui documenti, il suo numero di cellulare. Dopo che il mittente siriano si rifiutò di sottoporre il container allo scanner per accelerare le pratiche doganali, inoltre, fu proprio il mio cliente a chiedere allo spedizioniere di segnalare il caso. Parliamo di fine di maggio. Prima cioè che effettuassero i sequestri.”
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