Il consenso verso la morte assistita si diffonde in Europa
Negli ultimi anni, diversi Paesi in Europa hanno reso legale l'aiuto al suicidio o l'eutanasia attiva. Cosa li ha spinti al cambiamento?
“Vado in Svizzera”. Questa frase, che in alcuni Paesi è sinonimo di ricorso al suicidio assistito, potrebbe presto diventare obsoleta.
La Francia ha appena compiuto un importante passo verso la legalizzazione della morte assistita. In aprile, il Governo ha presentatoCollegamento esterno un progetto di legge per consentire alle malate e ai malati terminali di assumere farmaci letali e mettere fine alla propria vita. Il testo dovrebbe essere discusso ancora in maggio al Parlamento.
Nel Paese, la legge Crayes-Leonetti attualmente in vigore concede a chi è in fase terminale di ricevere sedazione profonda fino al decesso, ma non di assumere sostanze letali. Di conseguenza, alcune e alcuni pazienti si spostano in Paesi europei dove l’accompagnamento alla morte è permesso, come la Svizzera, per avere altre opzioni.
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La prima legge sul “fine vita” era attesa da tempo, nell’Esagono. A settembre 2022, il presidente Emmanuel Macron aveva deciso di convocare un’assemblea di cittadini per discuterne. La Convention citoyenne sur la fin de vie, composta di 184 cittadine e cittadini estratti a sorte, ha deliberato nell’aprile 2023 a favore di un accompagnamento alla morte attivo.
La Francia non è il solo Paese che si muove in questa direzione. In marzo, il parlamento scozzese ha presentato un disegno di legge per rendere legale l’aiuto alla morte. Se sarà adottata, la Scozia sarà la prima nazione del Regno Unito a fornire a chi è malato terminale assistenza per mettere fine alla propria vita.
Sempre a marzo in Irlanda, uno dei Paesi più cattolici d’Europa, deputate e deputati al Parlamento hanno raccomandato al Governo di concedere la morte assistita a persone con un male incurabile.
Un consenso crescente
In Europa, diversi Paesi hanno modificato le loro leggi negli ultimi 5 anni.
La Spagna consente l’eutanasia attiva dal 2021; l’Austria l’aiuto al suicido dal 2022 (cfr. riquadro esplicativo). In Italia, una sentenza della Corte costituzionale del 2019 ha aperto la strada al suicidio medicalmente assistito. Il primo ad averlo ottenuto nel Paese è stato, nel 2022, un uomo di 44 anni rimasto tetraplegico in seguito a un incidente stradale.
È morto “Mario”, Federico Carboni, 44enne di Senigallia: “La vita è fantastica, ma la sofferenza è troppa. Orgoglioso di aver scritto un pezzo di storia” https://t.co/SICjfPiGNnCollegamento esterno
— Associazione Luca Coscioni (@ass_coscioni) June 16, 2022Collegamento esterno
In un suicidio assistito, è la persona stessa ad assumere la dose letale del farmaco, per quanto lo riceva con regolare prescrizione e assistenza medica. Si ha invece eutanasia attiva quando è il personale medico a mettere intenzionalmente fine alla vita di una persona, somministrandole sostanze letali. Essa è quindi praticabile anche con pazienti non in grado in alcun modo di azionare l’infusione da sé.
Nel 2023, si è aggiunto il Portogallo. Il presidente conservatore Marcelo Rebelo de Sousa ha firmato, dopo che il Parlamento ha rovesciato il suo quarto e ultimo veto, la promulgazione di una legge che depenalizza l’eutanasia attiva e il suicidio accompagnato, nel Paese a maggioranza cattolica.
Tra vivere a lungo e vivere bene
Gli attivisti per il diritto di morire sostengono che l’aspettativa di vita crescente e l’invecchiamento della popolazione hanno favorito la tendenza a rendere legale il suicidio assistito.
“In passato, la maggior parte delle persone moriva piuttosto rapidamente da sessanta- o settantenne e non doveva affrontare 20 anni di malattia cronica”, osserva Colin Brewer, membro del movimento britannico My death, my decisionCollegamento esterno. “Ora che l’età media della morte si è spostata oltre gli ottant’anni, le persone vivono più a lungo, ma non necessariamente vivono felici. Questo è un cambiamento enorme”.
Lo psichiatra rileva che in Spagna e Portogallo vi è un ulteriore fattore: la presenza di governi di sinistra (l’uno socialista, l’altro socialdemocratico).
“Le persone vivono più a lungo, ma non sempre felici. È un cambiamento enorme.”
Colin Brewer, membro del movimento britannico ‘My Death, My Decision’
Alex Pandolfo, un difensore del diritto alla morte attivo nel Regno Unito, aggiunge: “Oggi la gente è più istruita, sulle cure mediche e i diritti individuali. Non ci si fida più ciecamente della medicina”.
“Per molte persone è inaccettabile vivere con forti dolori e una qualità di vita estremamente ridotta, soffrendo per anni di malattie degenerative non curabili”, chiarisce.
L’opinione pubblica ha dato una notevole spinta al cambiamento. Un sondaggio condotto in Francia nel 2023 ha mostrato che nove persone su dieci sono a favore di una legge che autorizzi i medici a praticare l’eutanasia a determinate condizioni. In Spagna, uno studio effettuato due anni prima che fosse legalizzata l’eutanasia rilevò che la maggioranza sosteneva il suicidio assistito.
“Non ci fidiamo più ciecamente della medicina”
Alex Pandolfo, attivista britannico per il diritto alla morte
Anche in Paesi dove l’accompagnamento alla morte non è ancora permesso, l’opinione pubblica pare invece approvarlo. In un sondaggio degli attivisti di Dignity in Dying pubblicato a marzo, quattro quinti delle interpellate e degli interpellati in Scozia si sono detti a favore.
Dignitas, un’organizzazione svizzera di assistenza al suicidio attiva anche all’estero, può prendersi almeno in parte il merito del fatto che altri Paesi abbiano reso legale la morte assistita.
Svizzere e svizzeri per la ‘dolce morte’
Nella Confederazione, dove la prima associazione di assistenza al suicidio fu fondata nel 1982, il numero di persone che vi ricorrono continua a crescere: l’Ufficio federale di statistica (UST) attesta che il numero di decessi con “assistenza alla morte” è triplicato in dieci anni, dai 431 del 2011 a 1’594 nel 2022.
Al contempo, il numero di iscritti ad associazioni di questo tipo in Svizzera è ai massimi storici (dato 2022).
“Oggi, i progressi nelle cure palliative potrebbero portare alla consapevolezza che anche delle cure di fine vita ben dispensate non hanno il 100% di successo, nel diminuire la sofferenza in misura sufficiente da far rinunciare a tutte le richieste di morte assistita”, sostiene la direttrice dell’Istituto di etica, storia e scienze umane dell’Università di Ginevra (IEH2) Samia Hurst-Majno.
La bioeticista precisa che “pure l’invecchiamento della popolazione e il diverso modo di vedere la morte delle nuove generazioni sono fattori in gioco”.
Una tendenza destinata a continuare?
Hurst Majo dice che è difficile prevedere se la legalizzazione della morte assistita continuerà a diffondersi in Europa, ma crede che sia “assolutamente possibile, considerato che le generazioni che raggiungono ora la terza età hanno generalmente attribuito più valore ai diritti individuali, rispetto alle precedenti”.
Brewer ritiene che questa tendenza possa estendersi dai Paesi occidentali a quelli in via di sviluppo, ma si aspetta che “a un certo punto si stabilizzerà”.
“Le persone che chiedono un accompagnamento al suicidio sono perlopiù ben istruite, hanno avuto una bella vita e sono pronte a pensare alla morte”, spiega. “Ma parliamo di una netta minoranza della società. Alla maggior parte delle persone non piace pensare alla morte”.
Nei Paesi arabi e asiatici, l’aiuto a morire rimane un tabù per ragioni culturali e religiose, anche se vi sono dottoresse e dottori che infrangono la legge per esaudire il desiderio di chi soffre. In Giappone, di recente, un medico è stato condannatoCollegamento esterno a 18 anni di carcere per la morte di due persone, tra le quali una paziente malata di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) che gli aveva chiesto di mettere fine alla sua vita. La vicenda ha riacceso il dibattito sul diritto alla morte nel Paese.
A cura di Marc Leutenegger
Traduzione di Rino Scarcelli
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