Per permettere alla Svizzera di opporsi in modo più severo alla minaccia terroristica, è in elaborazione un nuovo quadro giuridico. Il dibattito tra garantisti e sostenitori di misure d’urgenza è più acceso che mai.
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tvsvizzera.it/ri con RSI (TG del 10.04.2017)
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Un progetto di legge -che mira tra l’altro a rafforzare le misure di polizia applicabili al di fuori del procedimento penale- dovrebbe essere messo in consultazioneCollegamento esterno per l’estate. Comporterà un dibattito di fondo, tra chi ritiene prioritarie le libertà individuali e le tutele garantite da uno Stato di diritto, e chi invece mette l’accento sulla sicurezza e la necessità di reagire rapidamente a una minaccia come quella terroristica.
All’inizio del 2016, il Tribunale penale federale (TPF) ha condannato tre cittadini iracheni per partecipazione o sostegno a un’organizzazione criminale e per varie infrazioni alla Legge sugli stranieri. Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) li accusava di avere svolto i preparativi di un attacco terroristico in Europa.
In un altro procedimento, un cittadino svizzero di 25 anni è stato dichiarato colpevole di aver violato la legge federale che vieta il sostegno ad al-Qaida e all’autoproclamato Stato islamico, nonché alle organizzazioni associate. Il condannato, arrestato mentre era in partenza all’aeroporto di Zurigo, intendeva recarsi in Siria nell’area dei combattimenti.
La legge attuale prevede un massimo di 5 anni di carcere per chi sostiene al-Qaeda o l’autoproclamato Stato islamico, anche quando è accusato di pianificare un attentato come nel caso dei tre iracheni condannati poco più di un anno fa.
“A livello di jihadismo, di propaganda o sostegno al terrorismo”, spiega il procuratore generale della ConfederazioneCollegamento esterno Michael Lauber, “dobbiamo sempre cercare la compatibilità con la norma contro le organizzazioni criminali, altrimenti si può applicare solo il diritto penale minimo. Dico quindi sì a pene più alte per il sostegno o l’appartenenza a organizzazioni criminali affinché ci siano pene più severe per i terroristi”.
La richiesta delle autorità è quindi di prolungare la legge che vieta in Svizzera al-Qaeda e autoproclamato Stato islamico –in scadenza a fine 2018- e di aumentare sensibilmente la pena massima per gli aspiranti terrorismi.
Secondo l’ex giudice del Tribunale federale Giusep Nay, per contro, una pena di cinque anni è più che sufficiente per chi non ha ancora compiuto atti terroristici.
Nel 2016 l’Ufficio federale di polizia fedpolCollegamento esterno ha pronunciato 39 divieti d’entrata nei confronti di jihadisti o simpatizzanti e ha svolto indagini per circa 70 casi di jihadismo, 60 dei quali sono oggetto di un procedimento penale condotto dal Ministero pubblico della Confederazione (MPC).
Sebbene esistano numerosi strumenti per contrastare il fenomeno e il suo finanziamento, sottolinea il rapportoCollegamento esterno, nel 2016 sono state individuate diverse lacune che si intende colmare con le basi legali attualmente in elaborazione.
I progetti legislativi, che saranno sottoposti al Consiglio federale nel corso di quest’anno, mirano a rafforzare le misure di polizia applicabili al di fuori del procedimento penale, come il ritiro dei documenti d’identità oppure l’obbligo di presentarsi a un posto di polizia, e ad agevolare gli scambi con l’estero.
“Credo che in Svizzera abbiamo un sistema di diritto penale e di misure accompagnatorie molto buono, che favorisce anche la risocializzazione e l’intervento psicologico e rieducativo per i giovani. In ogni caso, se qualcuno attua un attentato e fa delle vittime già oggi è possibile applicare e la pena massima, ovvero l’ergastolo”.
Le autorità lamentano però l’impossibilità di ordinare misure di polizia, come ad esempio il bracciale elettronico e il fermo di 24 ore, al di fuori di una procedura penale.
Svizzera troppo garantista?
“Se adottiamo misure non compatibili con lo Stato di diritto, sbagliamo”, è convinto Giusep Nay. “Dobbiamo costruirvi sopra e non rinunciarvi. Non dobbiamo insomma permettere al terrorismo di far distruggere il nostro sistema liberale e giuridico-costituzionale”.
“Se vogliamo perseguire e combattere anche in Svizzera chi aderisce a organizzazioni criminali e terroristiche”, sostiene Lauber, “dobbiamo disporre di altre basi legali. La politica deve rispondere a questo quesito”.
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