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Il Governo adotta il mandato negoziale con l’UE

Ignazio Cassis e Maros Sefcovic in un incontro a Bruxelles del luglio 2023.
È tornato il dialogo tra Unione europea e Svizzera. Qui in una foto del luglio 2023 Ignazio Cassis e Maros Sefcovic. Keystone / Julien Warnand

Passo decisivo per rilanciare i negoziati con l’Unione Europea. Oggi, venerdì 15 dicembre, il Consiglio federale ha adottato il progetto di mandato negoziale elaborato dopo lunghi colloqui esplorativi con l’UE avviati dopo il "no" elvetico del 2021 all'accordo istituzionale.  

Tutto secondo programma. Come anticipato martedì dal vicepresidente della Commissione europea e responsabile del dossier elvetico per l’UE Maros Sefcovic, il Consiglio federale ha adottato la dichiarazione congiunta elaborata con l’UE contenente i risultati dei colloqui esplorativi. Dichiarazione che la Commissione europea ha già approvato il 21 novembre scorso a Strasburgo. 

La procedura per arrivare a un nuovo negoziato con l’UE è dunque rilanciata. Il progetto accolto dal Governo federale viene ora messo in consultazione presso le commissioni della politica estera (CPE) delle Camere federali e la  Conferenza dei governi cantonali (CdC), nonché presso le parti sociali e ambienti economici affinché possano esprimere il loro parere.  

Da Livia Leu a Patric Franzen

Se il progetto dovesse venir approvato, il Consiglio federale ha già fatto sapere che il capo negoziatore sarà Patric Franzen, capo della Divisione Europa del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) e segretario di Stato supplente che rileva il ruolo dall’ex segretaria di Stato e oggi ambasciatrice a Berlino Livia Leu. Quest’ultima se ne era andata di sua spontanea volontà a maggio del 2023 affermando che le sue dimissioni non erano un segnale negativo e che le trattative con Bruxelles potevano benissimo andare avanti anche senza di lei.  

Come però fece notare a suo tempo la RegioneCollegamento esterno, “il dossier europeo – composto da pagine spinose quali quelle sul lavoro, l’accesso ai mercati, la sovranità giudiziaria, la ricerca universitaria – ha già visto passare una lunga serie di negoziatori: Yves Rossier, Jacques de Watteville, Pascale Baeriswyl e Roberto Balzaretti. E Leu lascia dopo soli tre anni”.  

Le dimissioni di Livia Leu non hanno dunque interrotto i colloqui esplorativi che, iniziati nell’aprile del 2022, sono ora conclusi, non senza fatica e intoppi. I negoziati veri e propri cominceranno solo dopo l’approvazione definitiva del mandato da parte elvetica, e una volta che l’UE avrà a sua volta adottato il proprio mandato negoziale. 

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Obiettivi principali 

Il Governo pensa che i risultati dei colloqui esplorativi, terminati il 27 ottobre scorso, costituiscano una base solida ed equilibrata per avviare i futuri negoziati. Tra gli obiettivi principali del Consiglio federale c’è in primo piano l’accesso privo di ostacoli al mercato interno dell’UE. In concreto, l’idea è quella di aggiornare gli accordi esistenti sul mercato interno e concludere nuovi accordi settoriali nell’ambito dell’energia elettrica e della sicurezza alimentare.  

Questi accordi dovrebbero garantire alla Svizzera un accesso duraturo al suo principale mercato di esportazione e le consentirebbero di avviare e proseguire cooperazioni in settori per lei molto importanti. Trovata un’intesa anche sull’adozione di disposizioni sugli aiuti di Stato negli accordi relativi al trasporto aereo, ai trasporti terrestri e all’elettricità. 

Il pacchetto prevede inoltre un accordo sulla cooperazione in materia di sanità pubblica come anche la partecipazione sistematica ai programmi dell’UE, in particolare nel campo dell’istruzione e della ricerca. Un aspetto quest’ultimo fortemente caldeggiato da tutti i rettori degli atenei elvetici che si sono sentiti fortemente penalizzati dall’esclusione dal programma di ricerca Orizzonte Europa e da Erasmus+.  

Restano aperte le cosiddette questioni istituzionali, come la soluzione delle controversie e l’acquisizione dinamica del diritto europeo.

In merito ai lavoratori distaccati, un altro aspetto cruciale delle relazioni bilaterali, la Svizzera intende adeguarsi alle regole europee in materia ma nel contempo negoziare eccezioni. L’obiettivo? Preservare le condizioni di lavoro nella Confederazione e non esporre le aziende svizzere a concorrenza sleale. Per questo la Svizzera chiede che venga applicato il principio in vigore in Svizzera di salario uguale a lavoro uguale su tutto il territorio.  

Fa infine parte del pacchetto anche un contributo svizzero regolare a favore della coesione nell’Unione europea. 

Svizzera lodata da Bruxelles

Il responsabile UE del dossier elvetico Maros Sefcovic ha lodato l’atteggiamento costruttivo della Svizzera negli ultimi incontri. La commissione – ha aggiunto – è felice di aver elaborato una dichiarazione congiunta sul tema. La speranza ora è quella che ora i lavori procedano rapidamente. La Commissione europea spera infatti di concludere le trattative ancora nel corso di questo mandato, che termina nell’autunno 2024. 

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Le reazioni dei partiti elvetici

I partiti di Governo hanno reagito in modo diverso alla presentazione del mandato. Inaccettabile per l’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice): “Non è cambiato molto rispetto al passato”, ha dichiarato il presidente del gruppo UDC in Consiglio nazionale Thomas Aeschi. “Ci sono ancora le questioni della Corte di giustizia dell’Unione europea che deciderebbe in ultima istanza e la ripresa automatica del diritto europeo in materia di immigrazione. Dovremmo pagare miliardi di franchi all’anno a Bruxelles. L’UDC non può dire di sì a un accordo del genere.”

Il Partito socialista (PS) non è del tutto soddisfatto: bene che si sia entrati in una fase nel corso della quale si può tornare a discutere, “ma siamo un po’ scettici sui contenuti: ci sono incertezze nella protezione dei salari e nel servizio pubblico. Qui c’è sicuramente bisogno di un miglioramento del mandato”, ha detto il vicepresidente del PS Cedric Wermuth.

Per il Partito liberale radicale (PLR, destra liberale) e l’Alleanza del Centro si va nella giusta direzione: “Adesso è importante sostenere il Consiglio federale in vista delle negoziazioni future. Significa che tutti devono prendere le distanze dalle proprie maggiori rivendicazioni. I sindacati sono chiamati, nell’interesse del nostro Paese, a collaborare in modo costruttivo e a distanziarsi dalla loro politica ostruzionistica” ha dichiarato il presidente del PLR Thierry Burkart. Collaborazione auspicata anche dalla consigliera nazionale dell’Alleanza del Centro Elisabeth Schneider-Schneiter: “Questo mandato è importante per la sicurezza del diritto nel lavoro. Adesso bisogna serrare le fila all’interno, soprattutto nell’ambito della protezione dei salari, bisogna dialogare con i sindacati per trovare delle soluzioni.”

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Un passo avanti positivo per il mondo economico

“La prima impressione è molto positiva, abbiamo fatto alcuni progressi soprattutto nell’ambito della protezione dei salari, rispetto all’accordo quadro istituzionale”: così il direttore dell’Unione svizzera degli imprenditori Roland Müller. Più pacato, invece, l’entusiasmo dell’Unione sindacale svizzera (USS): il suo capo economista Daniel Lampart ha detto: “La protezione dei salari non è ancora garantita, c’è bisogno di miglioramenti,  in Svizzera vanno pagati stipendi svizzeri”.

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Stallo che dura ormai da anni 

Perché siamo giunti a questo punto? Il 24 maggio del 2021 – un po’ a sorpresa – il Consiglio federale aveva deciso di non firmare la bozza di accordo istituzionale con l’UE. Un accordo trovato dopo un negoziato durante ben sette anni.  

A suo tempo Berna, constatando che sussistevano divergenze sostanziali con Bruxelles in alcuni settori chiave aveva deciso di non firmare l’accordo. Già allora l’obiettivo era di rendere omogeneo il quadro giuridico per la partecipazione della Svizzera al mercato unico dell’UE e di stabilire un meccanismo per risolvere eventuali vertenze. 

Cosa ha davvero fatto naufragare i negoziati due anni e mezzo fa? La Svizzera temeva che l’accordo avrebbe minato la protezione dei salari svizzeri, più alti rispetto a quelli dell’UE. Si tratta della vera pietra angolare su cui sono inciampati i negoziatori.

La Confederazione non vuole che lavoratrici e lavoratori dell’UE possano operare a basso costo in Svizzera e si batte per la protezione dei salari in stile elvetico. Per capirci, un’azienda edile italiana potrebbe lavorare in Svizzera per un terzo del prezzo offrendo comunque salari di tutto rispetto da un punto di vista italiano. Questo mette ovviamente sotto pressione le attività elvetiche, spinte a rivedere i salari al ribasso per restare concorrenziali. Il principio della “parità di retribuzione per lo stesso lavoro nello stesso luogo” rischia dunque di venir disatteso.

Il Consiglio federale aveva anche chiesto chiarimenti su altri due punti: le disposizioni europee sugli aiuti di Stato e la direttiva sulla libera circolazione delle persone, che potrebbe rendere più facile l’accesso dei cittadini europei alle prestazioni sociali svizzere. 

Alcuni giorni dopo la decisione di annullare i negoziati, il ministro degli esteri elvetico Ignazio Cassis aveva aggiunto che un voto popolare contro l’accordo quadro con l’UE avrebbe avuto conseguenze molto più gravi della decisione del Consiglio federale di interrompere i negoziati. 

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Meno di un mese dopo, e siamo a giugno 2021, sempre Ignazio Cassis, intervistato dalla stampa domenicale, non escludeva che dopo l’abbandono delle trattative per un accordo quadro istituzionale con l’UE, un giorno la Svizzera sarebbe tornata a discutere con Bruxelles su questioni istituzionali. 

Cosa che puntualmente è avvenuta nell’aprile del 2022 e che ha portato all’adozione del progetto di mandato negoziale. Siamo dunque alla vigilia dei veri e propri negoziati che tutti sperano possano concludersi prima della fine del mandato della Commissione europea, ovvero entro il 31 ottobre del 2024. 

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