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A Lugano tutti i misteri di Techint

Trivella installata su un piano sterrato in un paesaggio collinare, ritratta in una giornata con cielo velato
L'inaugurazione di un'impianto di trivellazione della francese Total e dell'argentina Techint in un'immagine d'archivio. Keystone / Martin Alipaz

Ancora una volta il Ticino, le sue banche e le sue società di comodo sono al centro di una vicenda internazionale legata alla corruzione. L’affare, questa volta, coinvolge la Techint, colosso industriale italo-argentino controllato dalla ricchissima famiglia Rocca.

L’11 dicembre, a Milano, si è tenuta l’udienza preliminare nell’indagine che vede imputati tre membri della famiglia proprietaria e la San Faustin, la società madre del gruppo basata in Lussemburgo. Quest’ultima, si legge nella richiesta di rinvio a giudizio firmata il 30 settembre dai pm Donato Costa e Isidoro Palma è di fatto gestita da Milano anche attraverso la struttura di San Faustin a Lugano.

L’accusa dei pm milanesi è di corruzione internazionale: Techint avrebbe versato mazzette milionarie a Renato Duque quando era direttore della società petrolifera statale brasiliana Petrobras. Soldi in cambio di lauti appalti che sono partiti da Lugano dove, secondo gli inquirenti italiani, le operazioni occulte di Techint avrebbero avuto la loro cabina di regia.

Il delatore

I guai per il colosso industriale iniziano nel 2015. In Brasile, lo scandalo Lava Jato sta travolgendo imprenditori, politici e funzionari della Petrobras. In cambio di sconti di pena, gli arrestati cominciano a parlare facendo cadere altre teste. Tra questi “pentiti” vi è anche Joao Antonio Bernardi Filho, un ex manager della filiale in Brasile dell’italiana Saipem. L’uomo racconta come Renato Duque gli ha chiesto aiuto per ricevere i soldi della corruzione. Mazzette versate da chi? Dalla Confab, la filiale brasiliana di Techint, secondo le dichiarazioni di Bernardi.

Il denaro sarebbe stato inviato a Ginevra, presso un conto alla Millennium Banque Privé aperto dall’uruguayana Hayley. Una società di Bernardi, ma che di fatto era utilizzata da Duque. Secondo il collaboratore, per giustificare il trasferimento dei soldi provenienti da Confab sono stati stipulati diversi contratti di consulenza tra la stessa Hayley e alcune società legate alla Techint. Bernardi ha dichiarato che Benjamin Sodré Netto, dirigente responsabile di Confab, si recava presso la sede della società in Argentina per ottenere il nome della società offshore che sarebbe stata utilizzata per stipulare questi contratti fittizi con la Hayley.

A seguito di queste dichiarazioni, i procuratori brasiliani informano i giudici di Milano, centro operativo della Techint, i quali decidono di aprire la propria inchiesta per corruzione. Per confermare le dichiarazioni di Bernardi, sia gli inquirenti italiani che quelli brasiliani hanno bisogno di carte e documenti. E dove li possono trovare, se non in Svizzera?

I soldi partivano dalla BSI

È nella Confederazione, a Ginevra, che arrivavano i soldi. Ed è sempre dalla Confederazione, da Lugano, che partivano. Già nell’ottobre 2015, l’allora procuratore federale Stefan Lenz aveva trasmesso spontaneamente delle informazioni a Milano. Una volta partite le rogatorie ufficiale, la famiglia Rocca ha tentato di opporsi all’invio della documentazione bancaria elvetica in Italia. Ma tutti i ricorsi (come ad esempio questoCollegamento esterno) sono stati respinti dal Tribunale penale federale.

È così che le carte bancarie svizzere confermano quanto dichiarato da Bernardi in Brasile. Tra il 2009 e il 2014, la Hayley ha ricevuto a Ginevra un totale di 8,5 milioni di franche da parte di società legate a Techint, le panamensi Gabiao Investiments e Moonstone e l’uruguayana Sociedad de Emprendimentos Siderurgicos. Le prime due erano controllate da Enriche Fabia Repetto Marino, contabile del gruppo Techint; la terza aveva invece come avente diritto economico la lussemburghese San Faustin NV, ossia la holding di partecipazione della famiglia Rocca. Tutte queste società avevano un proprio conto alla BSI di Lugano. Conti che erano a loro volta alimentati da un altro conto BSI, quello dell’uruguayana Fundiciones del Pacifico, controllata anch’essa dalla San Faustin.

Nei guai anche in Brasile

Il 23 ottobre, in Brasile, un’operazione giudiziaria ha interessato direttamente i dirigenti delle due controllate brasiliane del gruppo, Techint Engenharia Construçao e Confab Industrial. Ventitrè le perquisizioni ordinate oltre ad un sequestro milionario. Secondo la magistratura del paese sudamericano la società italiana avrebbe pagato tangenti a politici e dirigenti della Petrobas per i lavori di una raffineria nello stato di Bahia e a un complesso petrolchimico nello stato di Rio de Janeiro.

Techint avrebbe pagato – direttamente e tramite le sue consociate brasiliane Techint Engineering & Construction e Industrial Confab – tangenti a dirigenti di Petrobas per un massimo di quattordici milioni di dollari. Secondo l’accusa, le due società erano parte di un cartello di appaltatori, costituito per garantirsi commesse per circa 800 milioni di dollari tra il 2007 e il 2010. Con un comunicatoCollegamento esterno, gli inquirenti brasiliani hanno comunicato il sequestro di circa 400 milioni di dollari. Dalle carte brasiliane emerge che un altro dirigente di Petrobras, oltre a Duque e Zelada, è stato pagato da Techint attraverso un conto BSI di Lugano. Si tratta di Fernando Carlos Leao de Barros che su suo conto alla Société Générale di Ginevra ha ricevuto circa mezzo milioni di franchi partiti dal conto luganese della Gabiao, una delle offhore utilizzate dalla Techint.

Le carte svizzere hanno svelato che Techint non avrebbe corrotto soltanto Duque. Nel febbraio 2012, Fundiciones del Pacifico ha infatti trasferito 539’000 franchi sul conto aperto presso la Lombard Odier di Ginevra da Steamboat Commerce Holdings. Questa offshore era controllata da Jorge Luiz Zelada, ex direttore commerciale internazionale di Petrobras.

Lugano, cuore occulto

Il fatto che tutto partisse da Lugano, non è un caso. È qui che, già nel 1970, si è insediata la San Faustin Lugano SA, una discreta società che, dopo essere diventata Saita Sa, è stata liquidata nell’agosto del 2018. Non è un caso, nemmeno, che la galassia offshore di Techint avesse i propri conti alla sede luganese della BSI. Nel 2017, l’Espresso pubblicò un’inchiestaCollegamento esterno che ritracciava la struttura della misteriosa San Faustin. Secondo il settimanale italiano a controllare la holding sarebbe una fondazione olandese dietro la quale compare una pattuglia di società registrate a Panama e alle Isole Vergini, controllate a loro volta da vari trust amministrati proprio dalla BSI. È nei forzieri della banca ticinese, nel frattempo assorbita dalla EFG, che si trovano quindi tutti i segreti della San Faustin.

L’inchiesta per le mazzette brasiliane ha fatto un po’ di luce nel sottobosco luganese che amministrava la Techint. Dal Ticino, ad eseguire le operazioni che hanno permesso al denaro di arrivare nelle tasche di Duque e Zelada erano tre donne. Tutte e tre risultano impiegate da due fiduciarie basate in Corso Elvezia perquisite, insieme alla San Faustin Lugano (di cui una delle donne era anche membro del cda), dal Ministero pubblico della Confederazione. Era proprio questa dirigente che, stando agli interrogatori svolti dalla Procura federale, ha svolto per anni gli incarichi fiduciari per conto del gruppo Techint. Proprio nell’ambito di tale mandato, la donna ha affermato di aver gestito anche i conti di Gabiao e Moonstone, società panamensi che per lei erano società del gruppo industriale italo-argentino.

Riconoscendo la sua firma in calce agli ordini di bonifico effettuati verso la Hayley, la dirigente di San Faustin Lugano ha ricordato che gli ordini le venivano impartite da Ettore Zabaleta. Quest’ultimo era uno dei dirigenti del gruppo Techint in Argentina e che spesso si recava negli uffici in Ticino. Gli ordini di bonifico, ha dichiarato un’altra fiduciaria, arrivavano dal postino della San Faustin Lugano. Interrogato anche il banchiere della BSI, gestore di tutti i conti “incriminati”, il quale ha dichiarato che le relazioni a nome di Fundiciones del Pacifico e Sociedad de emprendimentos siderurgico erano definiti “conti tesoreria” il cui beneficiario è la società San Faustin.

Per i pm milanesi, queste dichiarazioni, così come la documentazione bancaria inviata dalla Svizzera, «forniscono la prova che il gruppo Techint abbia detenuto cospicui fondi neri in Svizzera, attraverso cui pagare le tangenti per conto di società del gruppo». Quest’ultimo, in una notaCollegamento esterno resa pubblica dalla Reuters, sottolinea di «aver agito sempre in conformità ai principi etici e alle leggi applicabili nei paesi in cui opera». La società si dice «fiduciosa di poter dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati». La vicenda è lungi dall’essere conclusa, ma una cosa è già certa: quando si parla di corruzione internazionale, anche se per ora presunta, Lugano è sempre presente.

Lugano piace, ai corrotti e ai corruttori

Negli ultimi anni, non di rado, chi dal Brasile si è inabissato alla ricerca dei soldi sporchi della corruzione è riemerso… nel Ceresio. Le banche luganesi sono state tra le preferite di diversi imprenditori, politici e funzionari statali finiti nella rete dello scandalo Lava Jato. 

La vicenda forse più clamorosa è quella che vede coinvolta la PKB di Lugano, la banca controllata dalla famiglia Trabaldo Togna. L’istituto luganese era stato scelto dalla multinazionale brasiliana Odebrecht per aprire diversi conti destinati a far transitare il denaro sottratto alla contabilità ufficiale del gruppo e destinato anche al pagamento delle mazzette. Dai conti delle varie offshore della Odebrecht aperti a Lugano è transitato circa 1 miliardo di dollari.

Sempre alla PKB avevano aperto i loro conti non solo i corruttori, ma anche i corrotti come gli ex direttori della Petrobras Paulo Roberto Costa e Pedro Barusco. Tutti questi conti erano stati aperti dall’ex responsabile della clientela latino-americana della banca, uno svizzero-brasiliano licenziato e accusato di aver accumulato commissioni occulte da parte della Odebrecht.

Nel 2018, la FINMA aveva chiuso un procedimento d’enforcement nei confronti della banca constatando “gravi violazioni delle disposizioni in materia di riciclaggio di denaro” nel contesto degli scandali di corruzione a carico di Petrobras e Odebrecht. Nel frattempo, l’istituto così come un suo ex alto dirigente e l’ex banchiere sono sotto indagine da parte dell’MPC.

Ma la PKB non è l’unica banca in Ticino ad avere ospitato i conti di persone implicate nello scandalo brasiliano. Lo stessa BSI ha ospitato, oltre ai conti offshore della Techint, diverse relazioni di ex dirigenti della Petrobras. Anche Renato Duque, il manager che sarebbe stato corrotto dalla Techint, aveva i suoi conti in Ticino, alla Cramer di Lugano. Così come il già citato Pedro Barusco.

Dal canto suo, Walter Faria, un magnate della birra, accusato in Brasile di aver riciclato centinaia di milioni di reais per conto della Odebrecht, aveva diversi conti alla EFG. “Secondo la documentazione inviata dalla Svizzera, 38 diverse società offshore sono state identificate con conti bancari controllati da Faria presso la Efg Bank di Lugano”, si legge nel comunicato emesso dalle autorità di Brasilia.


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