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La Corte di Strasburgo condanna la Svizzera per razzismo

uomo di colore controllato dalla polizia
Secondo i giudici di Strasburgo in Svizzera la mancanza di un quadro giuridico e amministrativo sufficiente può portare a controlli d'identità abusivi. Keystone

Per un uomo di colore essere fermato e controllato dalla polizia, senza un apparente motivo, può essere un atto di discriminazione razziale basato sul colore della pelle. Così la pensa Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) che ha condannato la Svizzera per un caso successo a Zurigo nel 2015.

Il caso riguarda un cittadino svizzero di origini keniane, allora 40enne, fermato e perquisito dalla polizia alla stazione ferroviaria di Zurigo nel 2015. La CEDU ha accolto il ricorso di Mohamed Shee Wa Baile che era stato multato per essersi rifiutato di sottoporsi a un controllo di identità. Secondo l’uomo la polizia lo avrebbe fermato a causa delle sue origini africane.

La CEDU, nella sua sentenza, ha ritenuto che il ricorrente potesse invocare una discriminazione basata sul colore della sua pelle date le circostanze del controllo d’identità e il luogo in cui il signor Wa Baile è stato sottoposto a tale controllo, la stazione di Zurigo.

La Corte di Strasburgo.
La Corte di Strasburgo ha classificato il procedimento come classificato il procedimento come un “caso d’impatto” (“impact case”). Si tratta di casi a cui la Corte attribuisce particolare importanza per l’ulteriore sviluppo della tutela dei diritti umani, KEYSTONE/Copyright 2023 The Associated Press. All rights reserved

Inoltre, il suo ricorso non era stato oggetto di un esame effettivo da parte dei tribunali amministrativi e penali in Svizzera. La CEDU ha esordito osservando che “l’accusa del ricorrente di profilazione razziale non è stata esaminata in modo approfondito dai tribunali penali nazionali”, che hanno anche posto l’intero onere della prova sul richiedente.

Per i giudici di Strasburgo, il cittadino elvetico di origini keniane ha subito violazioni degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata), 13 (diritto a un ricorso effettivo) e 14 (divieto di discriminazione) della ConvenzioneCollegamento esterno per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

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La Svizzera è così stata condannata a pagargli 23’975 euro (22’821 franchi) di spese giudiziarie. L’interessato non ha per contro chiesto un risarcimento dei danni materiali e morali.

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I fatti

Verso le 7 del mattino del 5 febbraio 2015, mentre Mohamed Shee Wa Baile stava andando a lavorare, alla stazione centrale di Zurigo gli agenti della polizia comunale lo avevano fermato e gli avevano chiesto un documento di identità.

Il 49enne si era rifiutato di mostrare un documento o di fornire il proprio nome. Alla sua opposizione è stato costretto ad alzare le mani e a divaricare le gambe. La polizia lo ha perquisito e ha frugato pure nel suo zaino dove ha trovato una tessera AVS con il nome dell’uomo. Una volta accertata l’identità la polizia lo ha lasciato andare.

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Tutto bene, senonché qualche settimana dopo, l’uomo aveva ricevuto una multa di 100 franchi per non aver rispettato gli ordini della polizia. L’allora 40enne ha così impugnato la multa ma è stato sconfessato in prima istanza dal Tribunale distrettuale di Zurigo, in appello dal Tribunale amministrativo cantonale e infine anche dal Tribunale federale, ultima istanza di giudizio.

In particolare, il Tribunale amministrativo del Cantone di Zurigo aveva confermato l’illegalità del fermo e della perquisizione, ma non si era pronunciato sulla questione della discriminazione basata sul colore della pelle. Il Tribunale federale aveva invece dichiarato inammissibile il ricorso contro questa decisione.

Nella sua sentenza, la CEDU ritiene invece che il Tribunale amministrativo zurighese non avrebbe dovuto limitarsi a concludere che il controllo non fosse giustificato da ragioni oggettive. Doveva anche stabilire se fosse stato un atto a sfondo razziale.

Motivi della multa

Secondo l’agente di polizia che lo ha fermato, lo svizzero di origini africane avrebbe evitato il suo sguardo e avrebbe dato l’impressione di voler evitare la pattuglia di polizia. Un’argomentazione condivisa dalle varie istanze giudiziarie elvetiche.

Secondo l’uomo fermato, invece, avrebbe subito il controllo unicamente a causa del colore della sua pelle. Il giorno del controllo, sempre a suo dire, non sono state controllate altre persone, quasi tutte bianche. Proprio per questo motivo il 49enne si è rivolto alla CEDU invocando, tra l’altro, una violazione del divieto di discriminazione sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Strasburgo ha classificato il procedimento come un “caso d’impatto” (“impact case”). Si tratta di casi a cui la Corte attribuisce particolare importanza per l’ulteriore sviluppo della tutela dei diritti umani e che sollevano nuove questioni relative all’interpretazione e all’applicazione della Convenzione.

Raccomandazioni del Consiglio d’Europa

La Corte di Strasburgo ricorda anche le raccomandazioniCollegamento esterno del Consiglio d’Europa sulla formazione degli agenti di polizia in Svizzera in queste situazioni. E sulla creazione di un organismo indipendente per indagare sulle accuse di discriminazione.

La mancanza di un quadro giuridico e amministrativo sufficiente in Svizzera può portare a controlli d’identità abusivi, aggiunge l’organismo europeo. Pur essendo consapevole delle difficoltà per gli agenti di polizia di decidere in un momento se si trovano di fronte a una minaccia per la sicurezza, conclude che la Svizzera non è riuscita a confutare la presunzione di trattamento discriminatorio del richiedente in questo caso.

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