La diversa politica monetaria tra Svizzera e Stati Uniti
La Banca nazionale svizzera non cambia la sua politica monetaria in attesa di un'eventuale stretta da parte della Banca centrale europea. La Fed americana cambia invece strategia.
Il tasso guida viene mantenuto fermo dalla Banca Nazionale (BNS) al -0,75% e sono confermati anche gli interessi negativi, pure del -0,75%, sui conti giro presso la BNS, cioè quelli a carico delle banche che depositano il loro denaro presso l’istituto.
Nell’ambito del tradizionale esame trimestrale della situazione economica e monetaria, la banca ha ribadito inoltre la disponibilità a procedere a interventi sul mercato dei cambi per contrastare la pressione al rialzo sul franco. La valuta elvetica viene inoltre sempre considerata “con valutazione elevata”.
Le indicazioni della BNS guidata da Thomas Jordan non rappresentano una sorpresa: gli esperti erano unanimi nel ritenere che la BNS non avrebbe cambiato rotta. È opinione dominante che l’istituto debba prima aspettare una stretta da parte della Banca centrale europea (Bce).
La diversa politica della Fed
Dopo quasi due anni da “colomba”, la Federal Reserve statunitense si è fatta “falco” annunciando mercoledì un radicale cambio di rotta che la porterà ad accelerare la fine delle sue misure di sostegno all’economia, colpita dalla crisi del coronavirus.
I tassi di interesse di riferimento (ora nella forchetta 0-0,25%) rimangono per il momento invariati ma cresceranno l’anno prossimo una volta concluso il programma di acquisto di obbligazioni, che terminerà in marzo e non in giugno come previsto finora, ha annunciato il numero uno Jerome Powell dopo due giorni di riunione. I ritocchi verso l’alto potrebbero essere tre nel corso del 2022, anche se ci si muoverà con prudenza per non soffocare la ripresa, minacciata dalle incertezze legate alla diffusione della variante Omicron.
La congiuntura è molto positiva (si stima un +5,5% del PIL nel 2021) e la disoccupazione in netto calo tanto che a fine anno dovrebbe situarsi al 4,3%. Si vuole però contrastare la forte inflazione che penalizza le economie domestiche, ha spiegato Powell. In novembre, su base annua, l’aumento dei prezzi ammontava al 6,8%, dato che non si vedeva negli Stati Uniti dal 1982 e che rappresenta oltre il triplo dell’obiettivo che la Fed stessa si era prefissata
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