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La riesportazione di armi resta vietata

Un Mowag Piranha di fabbricazione svizzera: la Danimarca aveva chiesto di poterli riesportare in Ucraina.
Un Mowag Piranha di fabbricazione svizzera: la Danimarca aveva chiesto di poterli riesportare in Ucraina. Keystone / Laurent Gillieron

Bocciata dal Consiglio degli Stati la mozione che voleva dare una risposta alla richiesta di vari Stati europei - come la Germania la Danimarca o la Spagna - di poter riesportare verso l'Ucraina materiale bellico acquistato in Svizzera. La legge sul materiale bellico non va dunque modificata. E questo nemmeno per consentire a Paesi che condividono i nostri valori di riesportare materiale bellico elvetico verso paesi aggrediti come l'Ucraina.

È quanto deciso lunedì dal Consiglio degli Stati che, appellandosi alla necessità di preservare la credibilità della Svizzera e la sua neutralità, ha respinto – 23 voti a 18 e 2 astenuti – una mozione del “senatore” Thierry Burkart che intendeva edulcorare le attuali disposizioni di legge circa la cessione di armi all’estero.

Una questione di solidarietà

Attualmente, un’autorizzazione di esportazione di materiale bellico può essere concessa soltanto se lo Stato in questione ha firmato una dichiarazione che attesta che il materiale non sarà riesportato (dichiarazione di non riesportazione). Ciò per evitare che armi elvetiche vengano utilizzate in conflitti armati o finiscano in mano a terroristi.

Stando a Burkart, e con lui numerosi esponenti del suo partito e diversi del Centro, un allentamento non contravverrebbe al diritto della neutralità e permetterebbe di rafforzare la base tecnologica e industriale della Svizzera. “Diversi paesi cui abbiamo negato la riesportazione – ha spiegato – ci hanno fatto intendere che, in futuro, potrebbero rivolgersi altrove per rifornirsi di armi”. La mozione serve anche a preservare la nostra industria e, di riflesso, a rendere credibile la nostra neutralità armata, ha aggiunto.

Oltre a ciò, a detta di Burkart la guerra in Ucraina dimostra quanto sia stretta la cooperazione militare tra i Paesi che condividono i nostri valori, tra cui figura il rispetto del diritto internazionale violato gravemente dalla Russia. “Se neghiamo loro il diritto di trasferirsi reciprocamente le armi e i sistemi d’arma acquistati in Svizzera, ostacoliamo i loro sforzi in materia di sicurezza, di cui beneficiamo anche noi”, ha indicato il “senatore” argoviese.

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Una questione di credibilità

Ma per gli avversari della mozione, l’insolita alleanza tra sinistra e l’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), qualora la Svizzera dovesse modificare nel corso di una guerra le proprie leggi per concedere a un gruppo di Stati “scelti” il diritto di riesportare le sue armi perderebbe agli occhi del mondo la propria credibilità e strapazzerebbe quella neutralità che in passato ci ha protetti più volte da conflitti sanguinosi.

Che lo si voglia o no, hanno indicato all’unisono Marco Chiesa (UDC) e Daniel Jositsch (Partito socialista), anche se una sola munizione fabbricata in Svizzera venisse sparata contro la Russia verremmo subito collocati nel campo degli avversari di questo Paese. La Svizzera, ha sottolineato il presidente dell’UDC Chiesa, può rendersi utile in questa guerra in altri modi, mediante l’aiuto umanitario o costruendo ponti tra i contendenti come è nella nostra tradizione.

Chiesa – secondo il quale, ma non è l’unico, una modifica della legge sul materiale bellico è contraria al diritto della neutralità come definito dalle convenzioni dell’Aia del 1907 – ha poi criticato l’autore della mozione e i suoi sostenitori per essersi fatti accecare dall’emozione del momento ed essersi piegati alle pressioni provenienti dall’estero, perdendo uno dei valori fondanti della Svizzera, ossia la neutralità.

La Svizzera, “è uno stato di diritto: non siamo banderuole che cambiano direzione a seconda di dove tira il vento”, ha affermato il ticinese, secondo il quale il destino della Svizzera consiste anche nell’assumere posizioni scomode, come accaduto in passato; e la neutralità, tanto osteggiata all’estero e incompresa, è una di queste hanno ricordato diversi “senatori”.

Nessun margine di manovra

Nella sua replica, il consigliere federale Guy Parmelin, da cui dipende l’export di armamenti, ha ribadito la condanna della Svizzera dell’aggressione russa, ma ha ricordato che il Governo ha le mani legate: la neutralità e la legge sul materiale bellico ci impediscono di fare quanto la mozione chiede.

La Svizzera, qualora dovesse applicare la mozione, prenderebbe partito per una parte in causa nel conflitto, ciò che è contrario alla neutralità ha sottolineato il “ministro”. Inoltre, una completa rinuncia alla dichiarazione di non riesportazione comporta un rischio. Ossia che materiale bellico svizzero arrivi attraverso Stati “virtuosi” – ossia Stati che hanno una legislazione sulle armi simile alla nostra – a Paesi che non soddisfano i criteri di autorizzazione della Confederazione. È il caso, stando a un esempio fatto in aula, di ipotetiche armi elvetiche vendute alla Gran Bretagna per poi essere cedute da quest’ultima all’Arabia Saudita o ad altri Stati coinvolti in conflitti armati.

Parmelin ha anche ricordato che il giro di vite sull’export di armi è entrato in vigore una manciata di anni fa in risposta a una iniziativa popolare – detta “correttiva” – che voleva di fatto impedire alla Confederazione di vendere armi all’estero. Una modifica della legge come chiesto dalla mozione cozzerebbe insomma contro lo spirito del controprogetto governativo all’iniziativa e, in riflesso, sarebbe contrario alla volontà popolare

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