Secondo uno studio internazionale al quale ha partecipato anche la Svizzera, la siccità può portare a una riduzione del 60% della crescita delle piante.
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tvsvizzera.it/mrj con agenzie
Quasi il 50% dei giorni del 2023 ha superato gli 1,5°C in più di media rispetto al livello preindustriale. “Questo non significa che abbiamo superato i limiti fissati dall’Accordo di Parigi (in quanto si riferiscono a periodi di almeno 20 anni in cui questa anomalia di temperatura media viene superata) ma stabilisce un precedente terribile”, spiega il servizio CopernicusCollegamento esterno, il programma di osservazione della Terra dell’Unione Europea, dedicato a monitorare il nostro pianeta e il suo ambiente. Luglio,agosto e dicembre sono stati i mesi più caldi mai registrati. Dicembre ha avuto una temperatura media di 13,51 gradi.
Un anno caldo, quindi, ma anche un anno secco: non sono mancati i periodi di siccità nel corso del 2023. Siccità che, secondo un recente studio, è più dannosa per le piante di quanto si pensasse poiché ne può ridurre la crescita del 60%.
I risultati dell’analisi internazionale intitolata “L’impatto globale previsto dell’aumento della siccità è stato sostanzialmente sottostimato”, pubblicato lunedì sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), a cui ha partecipato anche la Svizzera, “mostrano un netto superamento delle perdite di superfici erbose precedentemente registrate”, scrive il team di ricerca.
Lo studio è stato condotto simulando per un anno la siccità in cento località, tra cui quella di Thun, nel canton Berna: alcune aree erbose sono state coperte con pannelli che hanno ridotto l’irrigazione da pioggia del 33% per simulare le precipitazioni dell’anno più secco dell’ultimo secolo. Secondo la pubblicazione, la crescita delle piante si è ridotta del 60% nelle aree con siccità estrema artificiale.
Secondo un comunicato dell’Alta scuola di scienze agronomiche, forestali e alimentari (BFH-HAFL) di Berna, è importante avere una conoscenza approfondita dei prati e delle steppe: non solo perché rivestono più del 40% delle terre emerse, ma anche ai fini della salvaguardia climatica.
Queste aree “immagazzinano più del 30% dell’anidride carbonica globale e sono quindi importanti pozzi di carbonio. Se si verificano frequenti siccità, questi paesaggi non saranno sempre in grado di svolgere la funzione di stoccaggio di CO2, il che aggraverebbe il cambiamento climatico”, ha spiegato nella nota l’ecologo della BFH-HAFL Andreas StampfliCollegamento esterno, che ha partecipato allo studio.
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