La tassa minima globale non preoccupa la Svizzera
Si chiama "Patto di Venezia". Un accordo per mettere fine al dumping fiscale, ossia la corsa al ribasso sulla tassazione delle multinazionali che va avanti da decenni. Il cambiamento sostenuto e rilanciato dagli Stati Uniti non destabilizzerà la Svizzera.
Ci siamo, o quasi. Dopo anni di lavori dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e il via libera del G7, dal G20 di Venezia arriva un’ulteriore conferma di fattibilità politica per la tassa minima globale, con aliquota minima del 15% e la tassazione dei profitti delle multinazionali nei Paesi in cui operano. E questo grazie all’appoggio di 130 Paesi (su 139) che rappresentano insieme il 90% del Pil mondiale.
“È una misura necessaria attesa da molti anni”, sottolinea il professore di economia all’università di Friburgo Sergio Rossi. “Ora bisogna vedere come verrà messa in atto”.
Mancano infatti ancora diversi dettagli, anche essenziali, come l’aliquota minima, che la Francia e altri stati vorrebbero superiore al 15%. Non solo. “Si deve anche definire quali sono i profitti imponibili e quali no”, ricorda Sergio Rossi. “Per esempio – sottolinea l’economista ticinese – le spese di ricerca e sviluppo potrebbero essere esonerate. Bisogna vedere come gli Stati nazionali decideranno di imporre questa tassa minima. Un’aliquota al 15% rischia di essere solo una foglia di fico che le imprese riusciranno ad aggirare”.
Spetta ora all’Ocse limare i dettagli per trovare l’intesa finale. L’obiettivo è avere il via libera dei capi di Stato e Governo del G20 a Roma il 30 e 31 ottobre. L’entrata in vigore di questa “armonizzazione fiscale” è prevista già nel 2023.
“Se gli Stati Uniti vogliono, tutti devono adeguarsi”
Sono gli Stati Uniti che puntano decisamente all’introduzione di una tassa minima globale per le filiali all’estero delle multinazionali. Non è un segreto che gli USA hanno bisogno di soldi. Il presidente americano Joe Biden vuole lanciare un piano di investimenti nelle infrastrutture da 2’250 miliardi di dollari. I finanziamenti necessari verrebbero raccolti grazie ad una maggiore tassazione delle aziende (l’aliquota federale dovrebbe passare dal 21%, deciso da Trump, al 28%). Per Joe Biden sarebbe molto più facile far digerire l’amaro boccone alle imprese americane se prima il resto del mondo diventasse meno attrattivo.
“Solitamente quando gli Stati Uniti decidono qualcosa, lo abbiamo visto con il segreto bancario in Svizzera, gli altri Paesi devono conformarsi, volenti o nolenti”, sottolinea ancora Sergio Rossi. “Il dollaro americano è la moneta più importante. I prezzi del petrolio sono espressi in dollari americani dunque il soft power, la potenza invisibile degli Stati Uniti d’America, anche in questo caso potrebbe far cambiare qualcosa sul piano globale”.
La riforma si basa su due pilastri: la tassazione con aliquota minima (ancora da definire) e la tassazione dei profitti delle multinazionali nei Paesi in cui operano.
Il primo stabilisce l’introduzione di un’imposta minima globale (allo stato attuale delle discussioni pari al 15%) sulle multinazionali con ricavi superiori a 750 milioni di euro: se un’azienda paga le tasse in un Paese in cui la tassazione effettiva è inferiore al 15%, la percentuale che rimane per arrivare a questa soglia dovrà essere pagata nello Stato di residenza, che nella maggioranza dei casi corrisponde agli Stati Uniti.
Il secondo pilastro, più tecnico, riguarda le multinazionali con ricavi oltre i 20 miliardi di dollari e un margine operativo superiore al 10% del fatturato. Una porzione dei profitti di queste aziende, pari al 20-30% degli utili che eccedono il 10%, sarà tassato nei Paesi in cui quelle società realizza le vendite. Scopo di questa misura è quello di redistribuire parte del gettito fiscale tra i vari Paesi in cui la multinazionale opera.
In cambio, i paesi europei che hanno istituito delle digital tax si impegnano a rimuoverle. L’Italia, ad esempio, ha conosciuto finora solo “un’edizione” della web tax, riscossa per la prima volta a fine maggio.
E in Svizzera? Cambia poco
La tassa minima globale vuole innanzitutto limitare la capacità dei piccoli Stati dotati di budget nazionali solidi di offrire alle aziende internazionali una piattaforma attrattiva. Insomma, punta il dito contro i paradisi fiscali. La Svizzera sarà interessata dalla nuova regola dell’imposta minima, ma decisamente in modo minore rispetto a quanto si possa pensare: come si legge nel grafico, l’aliquota media in Svizzera è oggi del 14.9%.
EconomieusisseCollegamento esterno, l’organizzazione mantello che rappresenta gli interessi di un’economia svizzera basata sulla concorrenza e interconnessa a livello internazionale, ricorda che “in Svizzera sono in corso discussioni su come attuarla (la tassa minima globale, ndr.). Non farlo non è raccomandabile”. Dal canto suo, il ‘ministro’ delle finanze elvetico, Ueli Maurer, ha ammesso che una riforma fiscale internazionale è inevitabile. Quello che è chiaro è che la Svizzera dovrà cercare di restare concorrenziale con qualcosa di diverso che non siano le tasse agevolate.
“Se le multinazionali arrivano in Svizzera solo per ridurre il carico fiscale, allora è meglio che se ne vadano”. È il parere del professore di economia a Friburgo, Sergio Rossi. “A mio avviso – aggiunge Rossi – le grandi aziende resteranno e saranno addirittura invogliate a venire in Svizzera perché la Confederazione offre altre posizioni di vantaggio per le imprese. Pensiamo a un territorio dove lo Stato è presente, dove la qualità di vita è elevata e le formazioni professionale ed accademica sono di grande livello. In generale, in Svizzera le condizioni quadro sono migliori che altrove”. Ecco l’intervista al professore di economia all’Università di Friburgo Sergio Rossi:
Come detto, l’entrata in vigore della tassa minima globale è prevista per il 2023. Una tabella di marcia per l’attuazione della riforma fiscale internazionale, che per il ‘ministro’ delle finanze elvetiche Ueli Maurer è parecchio, troppo ambiziosa. La Svizzera, ha ricordato Maurer, con le sue 26 diverse leggi fiscali cantonali, non sarebbe in grado di raggiungere tale obiettivo.
Come si capisce dalla mappa, l’effetto “paradossale” della tassa minima sui cantoni potrebbe essere quello di portare più soldi alle casse pubbliche di 18 cantoni e semicantoni elvetici che attualmente prevedono un’aliquota inferiore al 15%. Dalla mappa si evince però che la proposta americana non riscriverebbe la storia fiscale elvetica. L’aliquota del 15% (contrariamente alla prima proposta che era del 21%) non si differenzia molto dall’attuale imposizione della maggior parte dei cantoni. Proprio per questo motivo, si può eventualmente prevedere una maggiore armonizzazione fiscale in Svizzera e la riduzione della concorrenza fiscale tra i cantoni. Che non per forza rappresenta un male.
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