L’elezione di Trump porterà a una guerra commerciale che impatterà il PIL svizzero?
Secondo alcuni esperti la vittoria di Donald Trump porterà alcune aziende elvetiche a riorientare le loro strategie.
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Keystone-ATS
Con Donald Trump alla Casa Bianca vi sarà una guerra commerciale globale, con un impatto anche sul prodotto interno lordo (PIL) svizzero? È quanto ritengono alcuni esperti. Certo è che le aziende elvetiche dovranno prepararsi a un riorientamento delle loro strategie.
“Ci stiamo dirigendo verso una guerra commerciale su larga scala”, sostiene Cédric Tille, professore di economia presso l’IHEID, l’Istituto di alti studi internazionali di Ginevra. “Questa è una cattiva notizia per gran parte del commercio mondiale, soprattutto perché Trump si sta orientando verso una politica aleatoria. Ciò significa molta incertezza, con una forte possibilità di dazi doganali molto elevati e un rischio di escalation”.
Durante la sua campagna elettorale il 78enne ha promesso dazi elevati, con un aumento del 10% sulle importazioni da quasi tutti i paesi, compresa la Svizzera, e un incremento del 60% sui prodotti provenienti dalla Cina. Secondo Antoine Bouët, direttore del Centre d’études prospectives et d’informations internationales (CEPII), che dipende dal primo ministro francese, uno scenario del genere è “negativo per tutti”. L’esperto arriva a prevedere “una crisi economica globale, particolarmente grave per gli Stati Uniti e la Cina: in termini di commercio, sarà l’equivalente del Covid-19”.
Arthur Jurus, capo degli investimenti di Oddo BHF Svizzera, sulla scorta del KOF (Centro di ricerca congiunturale del Politecnico federale di Zurigo) osserva che “l’economia elvetica potrebbe subire una contrazione iniziale dello 0,2% del PIL, pari a circa 1,4 miliardi di franchi” in caso di aumento dei dazi doganali. “Se si arrivasse a un’escalation, con una guerra commerciale globale, la flessione potrebbe raggiungere l’1%, ovvero circa 7 miliardi di franchi”.
Settore farmaceutico tra i più colpiti
Il settore farmaceutico, quello dei macchinari, quello degli strumenti di precisione e l’orologeria, che rappresentano l’86% delle esportazioni verso gli Stati Uniti e che nel 2023 hanno pesato per un valore di circa 42 miliardi di franchi, “sarebbero particolarmente esposti alle tasse statunitensi”.
Per Bouët potrebbe verificarsi “un completo riorientamento dei flussi commerciali, con un calo dell’80% delle esportazioni di macchinari verso gli Stati Uniti”. L’esperto prevede ritorsioni commerciali da parte di alcuni paesi. “L’Europa in generale esporterà meno verso gli Stati Uniti, ma anche verso la Cina che, punita dal grande mercato statunitense, subirà un effetto recessivo e importerà meno”.
Chi rappresenta le ditte elvetiche si sta già muovendo. Swissmem – organizzazione dell’industria metalmeccanica ed elettrica (MEM) – ha auspicato un’amministrazione americana “favorevole al libero scambio, all’apertura dei mercati e alla globalizzazione”: il mercato degli Usa è secondo solo alla Germania per le imprese del ramo. E Interpharma, l’associazione farmaceutica svizzera, si è detta contraria al protezionismo.
Tagli fiscali negli USA
Ogni moneta ha comunque due facce. Trump ha promesso di tagliare le tasse e di deregolamentare, ispirato del fondatore di Tesla Elon Musk. “Possiamo ben immaginare che le multinazionali si stabiliscano negli Stati Uniti e approfittino dei tagli fiscali: potrebbero esserci anche investimenti diretti all’interno degli Stati Uniti, che compenseranno le ritorsioni di altri paesi”, spiega Bouët.
Da parte sua, Samy Chaar, capo economista della banca Lombard Odier, dice di aspettarsi “un impatto positivo per l’economia statunitense”, spinto dal motto “buy American”. “L’espansione continuerà anche nel 2025”, il che dovrebbe avvantaggiare le multinazionali elvetiche con fabbriche e punti vendita sul posto. A suo avviso, Trump “potrebbe essere più moderato sulle tasse, pronto a negoziare”: lo specialista non si aspetta quindi che l’inflazione vada fuori controllo.
Bouët vede invece un “grande pericolo” se Donald Trump, molto critico nei confronti dei dirigenti della Federal Reserve (Fed) di fronte all’impennata dell’inflazione, metterà in discussione l’indipendenza dell’istituto, nominando a capo della stessa una persona a lui vicina. Il mandato dell’attuale presidente Jerome Powell scade nel 2026. “Se il debito degli Stati Uniti dovesse esplodere sulla scia di una diminuzione massiccia delle imposte e se la Fed non fosse più indipendente i mercati finanziari reagirebbero molto male, perché la politica monetaria statunitense sarebbe messa in discussione”, conclude l’analista.
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