L’immigrazione dai Paesi europei a livelli da record in Svizzera
Nel 2023 68'000 persone provenienti dai Paesi dell'UE e dell'AELS sono immigrate in Svizzera nell'ambito dell'accordo di libera circolazione. Dall'entrata in vigore di questa intesa nel 2002, solo una volta si era registrato un valore più alto. L'Italia resta uno dei principali Paesi di provenienza.
Gli immigrati e le immigrate dai Paesi dell’Unione europea (UE) e dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) sono stati 68’000 nel 2023, quasi il 30% in più rispetto al 2022. Per ritrovare una cifra simile, bisogna risalire al 2008, quando furono 72’100 le persone che arrivarono in Svizzera nel quadro dell’accordo di libera circolazione tra Berna e Bruxelles.
Il dato elevato dello scorso anno è il riflesso di “una robusta crescita occupazionale, un livello di disoccupazione storicamente basso ed elevate difficoltà di reclutamento da parte delle aziende”, osserva la Segreteria di Stato dell’economia (Seco), che lunedì ha pubblicato il 20esimo rapportoCollegamento esterno dell’Osservatorio della libera circolazione delle persone.
I principali Paesi di provenienza sono stati la Germania, la Francia e l’Italia, come si può vedere in questo grafico.
Questo posizionamento è però cambiato ripetutamente nel corso degli anni, rileva la Seco. A essere determinante è lo sviluppo economico nei singoli Paesi. “Questa correlazione sembra trovare nuovamente conferma per quanto riguarda l’attuale sviluppo dell’immigrazione proveniente dalla Germania – si legge nel rapporto. Per il 2023 si registra infatti un notevole aumento dell’immigrazione da questo Paese, caratterizzato da un debole sviluppo economico rispetto agli scorsi anni”.
Da sottolineare anche che la Svizzera, seppur piccola, è uno dei Paesi che ha assorbito maggiormente questa immigrazione all’interno del continente. Dal 2005, circa il 10% dei cittadini e delle cittadine in età lavorativa migrati all’interno dello spazio europeo si è trasferito in Svizzera. “Dopo la Germania e l’Italia, la Svizzera si classifica quindi al terzo posto come principale Paese di destinazione”, scrive la Seco.
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Margine di manovra esiguo
Contrariamente ad altri Paesi di taglia paragonabile, la Svizzera ha un margine di manovra limitato per far fronte alla domanda di manodopera.
Da un lato, la popolazione attiva è aumentata di poco in questi ultimi vent’anni, a causa del continuo invecchiamento demografico. Questa caratteristica è però comune a molti altri Stati europei. La Svizzera si contraddistingue per un altro fattore: il tasso di partecipazione della popolazione indigena al mercato del lavoro è “elevato, anche in un confronto internazionale”.
Ciò significa – rileva in sostanza la Seco – che le aziende elvetiche devono far capo alla manodopera proveniente dall’estero per coprire i loro bisogni, poiché sul mercato del lavoro indigeno il potenziale è limitato.
Altri Paesi “come l’Austria, i Paesi Bassi o il Belgio sono riusciti a sfruttare un potenziale indigeno nettamente maggiore, aumentando la partecipazione al mercato del lavoro o riducendo la disoccupazione. Di conseguenza, in questi Paesi un andamento dell’occupazione comparabilmente dinamico è stato caratterizzato da tassi di immigrazione più bassi”.
Manodopera qualificata
Il rapporto indica anche che gran parte delle persone proveniente dall’UE o dai Paesi dell’AELS che lavorano in Svizzera sono altamente qualificate. Molte di loro svolgono “attività impegnative in settori economici in rapida crescita, come i servizi specializzati, scientifici e tecnici, l’informazione e la comunicazione o la sanità”.
Ma l’economia svizzera dipende anche dal reclutamento di persone immigrate dall’UE per occupare posti di lavoro meno qualificati, soprattutto nei settori alberghiero e della ristorazione, nonché nell’edilizia e nell’industria.
Per la Seco, questa situazione può essere vista come “un vantaggio, se non un privilegio” per la Svizzera dal punto di vista del mercato del lavoro.
Tuttavia, la Seco sottolinea che gli alti livelli di migrazione a lungo termine “comportano anche delle sfide. I dibattiti appassionati e contraddittori sulla questione del rapporto costi/benefici dell’immigrazione per la società nel suo complesso, che si stanno svolgendo anche in altri grandi Paesi di immigrazione netta, lo testimoniano”, viene precisato nelle conclusioni del rapporto.
Un dibattito perpetuo
Il livello elevato dell’immigrazione in Svizzera è un tema che si trova spesso al centro del dibattito politico. L’Unione democratica di centro (UDC, destra sovranista) milita da sempre per porre un freno alla libera circolazione delle persone. Nel 2014 il partito riuscì, un po’ a sorpresa, a convincere la maggioranza dell’elettorato, che accettò la sua iniziativa popolare denominata “contro l’immigrazione di massa”. La legge per tradurre in pratica l’iniziativa, piuttosto annacquata rispetto all’idea originale, non ha però visibilmente avuto l’effetto scontato. Nel 2020 l’UDC è tornata alla carica con un’altra iniziativa per abolire la libera circolazione, che però contrariamente alla prima non ha avuto successo. Presto, la popolazione dovrà esprimersi su un’altra iniziativa popolare lanciata dall’UDC. Poco più di due mesi fa, il partito ha depositato oltre 110’000 firme a sostegno di un testo che chiede che la popolazione residente in Svizzera non superi i dieci milioni di abitanti entro il 2050. Un progetto che, se accettato, avrà un impatto anche sull’accordo di libera circolazione.
Per la Seco, il bilancio è invece globalmente positivo: “La libera circolazione delle persone in particolare, che negli ultimi venti anni ha costituito buona parte dell’immigrazione in Svizzera, è stata fortemente orientata al mercato del lavoro e, nella sua complementarità con la popolazione indigena attiva, ha contribuito a soddisfare la relativa richiesta di manodopera per cui l’offerta interna era assente o scarsa”.
Voler limitare o porre fine alla libera circolazione rischia di avere pochi effetti. Presentando il rapporto, la segretaria di Stato Helene Budliger Artieda ha fatto riferimento all’esempio del Regno Unito, rilevando che la fine della libera circolazione delle persone dopo la Brexit non ha portato a un calo generale dell’immigrazione.
Del fatto che la bilancia costi/benefici penda più verso questi ultimi sono convinti anche i partner sociali. Il capo dell’Unione svizzera degli imprenditori (USI), Roland Müller, ha messo in risalto il costo della penuria di manodopera per le imprese. “L’analisi dimostra ancora una volta che l’immigrazione dall’UE e dall’AELS è un importante pilastro della prosperità della Svizzera”, ha affermato.
Dal canto suo, il capo economista dell’Unione sindacale svizzera (USS) Daniel Lampart ha sottolineato che i sistemi a “punti”, come in Canada, o i sistemi di quote non sono migliori della libera circolazione delle persone abbinata alle misure di accompagnamento, che permettono di preservare almeno in parte la Svizzera da fenomeni come il dumping salariale.
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