La forza del franco svizzero penalizza l'industria di esportazione. Non fa eccezione uno dei prodotti simbolo della Svizzera: il formaggio Tête de Moine.
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tvsvizzera.it/mrj
Dopo anni di successi il formaggio Tête de Moine – originario del Giura bernese – lo scorso anno ha subìto un calo delle vendite all’estero. Una flessione che, seppur lieve, preoccupa la filiera.
È, per esempio, il caso del caseificio Spielhofer di Saint-Imier (canton Berna), dove il formaggio a rosette è di gran lunga il prodotto principale, poiché ogni anno ne vengono prodotte oltre 500 tonnellate. Fino al 2023. L’anno scorso, infatti, la produzione ha dovuto essere ridotta del 4% a causa dell’inflazione che ha penalizzato le esportazioni, soprattutto verso Francia e Germania. Un fatto senza precedenti: “L’inflazione ha fatto scendere il potere d’acquisto dei clienti, che non sempre hanno i mezzi per comprare i nostri prodotti. Il Tête de Moine è comunque un prodotto di alta gamma”, spiega ai microfoni della Radiotelevisione della Svizzera italiana RSI Martin Siegenthaler, direttore Interprofession Tête de Moine, associazione mantello che riunisce tutti i produttori di questa specialità.
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Un prodotto di lusso a tutti gli effetti: nella zona euro il suo prezzo al chilo può raggiungere i 30-40 euro. “Prima del Covid eravamo al di sotto dei 30 euro al chilo. È una soglia limite: se viene superata, le vendite calano”, spiega dal canto suo il co-direttore del caseificio Spielhofer, Cédric Spielhofer.
Il Tête de Moine è un formaggio svizzero di pasta semi-dura a base di latte vaccino. Il suo nome tradotto dal francese significa “testa di monaco”. Perché si chiama così? “La fabbricazione del formaggio”, si legge sul sito dell’Ufficio federale dell’agricoltura, “iniziò nell’alto Medioevo, segnatamente nel monastero giurassiano di Bellelay. Il nome deriva dalla provenienza (il monastero immagazzinava quantità di formaggio “a testa”, ovvero per ciascun monaco) e dalla forma (la raschiatura del formaggio ricorda la tonsura dei monaci). (…) L’invenzione, nel 1981, del “girolle” [il raschietto che si usa per ottenere le rosette, forma nella quale tradizionalmente si consuma questo formaggio, ndr] ha contribuito ampiamente al suo successo”.
Ora l’associazione interprofessionale sonda altri mercati. Uno sbocco potrebbero essere gli Stati Uniti, dove l’anno scorso le vendite sono più che raddoppiate passando da 36 a 88 tonnellate. Aggiunge Siegenthaler: “Abbiamo trovato un mercato dove vivono 330 milioni di potenziali nuovi clienti. Siamo in forte crescita e siamo fiduciosi, ma non è detto che l’espansione continui”.
Permane quindi l’incertezza in un mercato come quello dei formaggi, dove la concorrenza è sempre più agguerrita.
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