Il ticinese Flavio Cotti, presidente della Confederazione nel 1991 e nel 1998 e al governo per 13 anni, è morto all'età di 81 anni.
Questo contenuto è stato pubblicato al
2 minuti
Cotti, nato a Muralto nel 1939, era ricoverato alla Clinica Santa Chiara di Locarno per le conseguenze di un’infezione dovuta al nuovo coronavirus.
Ricordato per la sua dedizione a studio, lavoro e politica, Flavio Cotti entra a 24 anni nel consiglio comunale di Locarno. A 35 è nel governo ticinese e nel 1983 diventa membro del Consiglio nazionale, la camera bassa del parlamento elvetico. È il primo ticinese alla testa e del Partito popolare democratico (PPD, centro) svizzero e il settimo a entrare nel governo federale.
Ricopre la carica di presidente nel 1991, anno del 700esimo della Confederazione. Si fa però notare soprattutto dal 1994 in avanti quando prende le redini del Dipartimento federale degli affari esteri.
Nel 1996, con la presidenza svizzera dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ha un ruolo di rilievo nel ristabilimento della pace in Bosnia. Prende anche in mano un dossier scottante evitato da altri, quello dei fondi ebraici e l’oro nazista nascosto nelle banche elvetiche. Chiude la vicenda con un risarcimento di 2 miliardi di franchi da parte delle banche elvetiche alle vittime dell’Olocausto.
Dopo il suo ritiro mette la sua esperienza al servizio di Credit Suisse, Fiat, Georg Fischer e altre aziende private, ma lentamente scompare dai media, salvo rare eccezioni.
Ripercorriamo la sua carriera nel servizio del Telegiornale:
Contenuto esterno
Contenuto esterno
Non è stato possibile registrare l'abbonamento. Si prega di riprovare.
Hai quasi finito… Dobbiamo verificare il tuo indirizzo e-mail. Per completare la sottoscrizione, apri il link indicato nell'e-mail che ti è appena stata inviata.
Se volete segnalare errori fattuali, inviateci un’e-mail all’indirizzo tvsvizzera@swissinfo.ch.
Per saperne di più
Altri sviluppi
Il nuovo presidente e le sfide future
Questo contenuto è stato pubblicato al
L'Assemblea federale ha eletto il consigliere federale Guy Parmelin alla presidenza della Confederazione per il 2021.
Perché tanto clamore per l’elezione d’un ministro?
Questo contenuto è stato pubblicato al
Da tre mesi, l’attualità politica svizzera vive al ritmo della successione di Didier Burkhalter. Qualche chiave di lettura per spiegare questo trambusto.
Cosa succederebbe se un ministro italiano, francese, tedesco o di qualsiasi altro paese al mondo comunicasse le sue dimissioni? E se il capo del governo nominasse un nuovo ministro? Il tema sarebbe tra i piatti forti dell’edizione serale del telegiornale e l’indomani la notizia si ritroverebbe sicuramente sulle prime pagine dei giornali. Magari anche il giorno successivo se il rimpasto concerne un ministero importante. Poi però basta. A meno che non vi sia odore di scandalo, al massimo una settimana dopo non se ne parla più.
In Svizzera, la sostituzione di un consigliere federale – un ministro, appunto – è invece un ‘feuilleton’ che si protrae per mesi! Dal 14 giugno scorso, quando il ministro degli affari esteri Didier Burkhalter ha annunciato le sue dimissioni con effetto a fine ottobre, un giorno sì e l’altro pure giornali, televisioni, riviste, siti internet, ecc. analizzano, psicanalizzano, scompongono, approfondiscono…Tutti possono candidarsi
Secondo la Costituzione, ogni cittadino che ha il diritto di voto è eleggibile in Consiglio federale. Per la successione di Didier Burkhalter, i Servizi del parlamento hanno ricevuto 11 candidature di persone sconosciute al mondo della politica, stando quanto indicato giorni fa all’agenzia telegrafica svizzera da Karin Burkhalter, portavoce dei Servizi del parlamento.
Ad ogni elezione queste candidature “selvagge” sono circa una dozzina, precisa ancora Karin Burkhalter.
Le candidature sono custodite in un raccoglitore messo a disposizione dei parlamentari. “Capita che alcuni di loro vengano a consultare i dossier, soprattutto per curiosità”, precisa la portavoce dei Servizi del parlamento. E soprattutto danno il via al toto-candidati. Appena poche ore dopo le dimissioni di Burkhalter, è iniziato a circolare il nome del parlamentare federale ticinese Ignazio Cassis. Poi nel corso dell’estate se ne sono aggiunti altri. E naturalmente per ognuno di essi il ‘battage’ è ripartito alla grande: quali sono le qualità e i difetti dell’uno e dell’altro? A quali interessi privati è legato costui? E perché non si dovrebbe eleggere una lei per garantire una equa rappresentanza dei sessi? Ma non è giunto il momento di uno svizzero italiano in Consiglio federale, che manca dal 1999? Insomma, nel tritacarne politico e mediatico è passato tutto quello che poteva passare.
Alla fine, a contendersi il posto di Didier Burkhalter sono rimasti in tre: il gran favorito Ignazio Cassis, la parlamentare federale del cantone Vaud Isabelle Moret e il consigliere di Stato (ministro cantonale) di Ginevra Pierre Maudet.
A questo punto, la domanda che un osservatore esterno potrebbe porsi è più che legittima: ma sono pazzi questi svizzeri? Perché così tanto fracasso per quello che da noi può riassumersi tutt’al più in un mini-rimpasto di governo?
In ordine sparso, qualche chiave di lettura per capire un po’ meglio gli arcani della politica svizzera e del suo (strano) sistema di governo.
Eletto dal parlamento
Dalla fondazione dello Stato federale nel 1848, il governo svizzero – il Consiglio federale – è composto di sette membri, eletti dal parlamento e non dal popolo. Un aspetto che può sembrare paradossale nel paese della democrazia diretta, dove i cittadini sono chiamati alle urne più volte l’anno. Per spiegare questa situazione bisogna riposizionarsi nel contesto dell’epoca: “A quel tempo prevaleva il concetto di democrazia rappresentativa. La democrazia diretta era molto embrionale”, ha ricordato recentemente a swissinfo.ch Nenad Stojanovic, docente di scienze politiche all’università di Lucerna. Inoltre, coi mezzi di comunicazione di allora era difficile immaginare una campagna nazionale dei candidati.
Nel corso degli anni l’idea di fare eleggere direttamente dal popolo l’esecutivo elvetico è rispuntata più volte, ma è sempre stata bocciata, anche in votazione popolare. L’ultima volta i cittadini si sono espressi nel 2013, affossando l’iniziativa con il 76,3% di no.
Nessun capo dello Stato
I sette membri del governo hanno esattamente lo stesso peso all’interno del collegio. Contrariamente a quanto accade in praticamente tutti i paesi del mondo, l’ordinamento istituzionale svizzero non prevede né un primo ministro né un capo dello Stato. Il parlamento elegge ogni anno il presidente della Confederazione. Questo incarico è però essenzialmente di rappresentanza. A parte il fatto di dirigere le deliberazioni dell’Esecutivo, il presidente – che cambia come detto ogni anno – non ha prerogative particolari; è un “primus inter pares”.
In carica per una legislatura, ma…
I membri del governo sono eletti dal parlamento sino alla fine della legislatura. Non essendoci il voto di fiducia, nessuno può obbligarli a partire prima di questa scadenza. All’inizio di ogni nuova legislatura, l’Assemblea federale (le due camere del parlamento riunite) procede all’elezione dei sette membri del Consiglio federale. La non-rielezione degli uscenti è un fatto molto raro: dal 1848 è successo solo dieci volte, le ultime due nel 2003 (Ruth Metzler non rieletta a favore di Christoph Blocher) e nel 2007 (Christoph Blocher non rieletto a favore di Eveline Widmer-Schlumpf).
Ciò fa sì che molti consiglieri federali siedano in governo per più legislature. Tra gli attuali membri, la più ‘anziana’ è Doris Leuthard, eletta nell’esecutivo nel 2007. In passato vi sono stati casi di ministri in carica per più decenni. Nel XIX secolo Karl Schenk è stato ben 32 anni in governo (dal 1863 al 1895) e forse ne avrebbe passati anche qualcun’uno in più se la morte non lo avesse strappato al suo incarico. Nel XX secolo, Giuseppe Motta è invece stato consigliere federale dal 1911 al 1940. Anche lui è morto in carica.
Questa longevità, il fatto che non possano essere destituiti e che il parlamento in generale li riconferma, fa sì che i consiglieri federali abbiano una posizione diversa rispetto ai ministri in altri paese. Da qui parte del grande interesse che suscita la loro elezione.
La formula magica
In altri paesi il Consiglio federale sarebbe definito un governo di coalizione. Dal 1959, infatti, l’esecutivo elvetico è composto praticamente ininterrottamente dai rappresentanti dei quattro partiti più importanti: Unione democratica di centro, Partito Socialista, Partito liberale radicale e Partito popolare democratico. È quella che in Svizzera viene chiamata la “formula magica”. Questa “formula magica”, che non poggia su nessuna base legislativa, rispecchia la volontà di adottare delle decisioni sulla base di un consenso il più ampio possibile. Senza questo ampio consenso, molte decisioni di governo e parlamento rischierebbero spesso di cozzare contro lo scoglio rappresentato da quello strumento della democrazia diretta che è il referendum.
Generalmente, quando un consigliere federale dà le dimissioni, il parlamento sceglie un subentrante dello stesso partito dell’uscente. I tre principali candidati alla successione di Didier Burkhalter sono così tutti esponenti del Partito liberale radicale. Negli ultimi anni, con la crescita elettorale dell’Unione democratica di centro la “formula magica” ha subito qualche scossone. Per saperne di più potete cliccare sul video:
Un governo collegiale
Una volta eletti, ci si attende dai consiglieri federali che non difendano unicamente la posizione del loro partito, bensì quella dell’intero collegio. Prendendo un esempio a caso, se la maggioranza dei consiglieri federali decidesse di sopprimere l’esercito, il ministro della difesa (attualmente Ueli Maurer dell’Unione democratica di centro, che difende un esercito forte) dovrebbe piegarsi alla volontà dei colleghi e difendere davanti al parlamento (e eventualmente in un secondo tempo davanti al popolo) questa decisione.
Equa rappresentanza delle regioni
Ad assumere una particolare rilevanza durante questa campagna per l’elezione del successore di Didier Burkhalter è stata la questione della rappresentanza delle diverse regioni del paese. Dall’uscita di scena di Flavio Cotti nel 1999, in Consiglio federale non vi è più stato un solo rappresentante della Svizzera italiana. Per questo in molti appoggiano la candidatura del ticinese Ignazio Cassis.
Proprio dal 1999, la Costituzione contempla una disposizione flessibile secondo cui “le diverse regioni e le componenti linguistiche del paese devono essere equamente rappresentate”.
Dopo praticamente un ventennio durante il quale il governo è stato formato da quattro svizzeri tedeschi e da tre svizzeri francese, questa sarà la volta buona per la Svizzera italiana?
Questo contenuto è stato pubblicato al
Il Ticino vuole nuovamente essere rappresentato in Consiglio federale. E lo fa candidando Ignazio Cassis. Già medico cantonale ora capogruippo in parlamento per il partito liberale radicale. La scelta del candidato unico è stata preferita alla possibilità di presentare al PLR nazionale un ticket comprendente più candidature per dare le migliori chance alla Svizzera italiana…
Se volete segnalare errori fattuali, inviateci un’e-mail all’indirizzo tvsvizzera@swissinfo.ch.