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Mafia, attenzione alla sindrome di NIMBY

Un corteo con il cartello: Mafia get out of my country

Di fronte al fenomeno mafioso, "fate attenzione alla sindrome di NIMBY, 'not in my backyard', non nel mio cortile. Una sindrome che fino a poco tempo fa esisteva anche nel Nord Italia".

L’avvertimento arriva dalla magistrata italiana della Direzione distrettuale antimafia (DDA) di Milano, Alessandra Cerreti, intervenuta giovedì al primo convegno dell’Osservatorio ticinese sulla criminalità organizzataCollegamento esterno (O-TiCO) organizzato all’Università della Svizzera italiana.

Il riferimento è all’iniziale negazione della presenza della mafia nelle regioni del Nord Italia da parte dell’opinione pubblica. Presenza che poi invece è stata dimostrata da diverse inchieste che hanno svelato infiltrazioni in Lombardia, Val D’Aosta, Piemonte, Emilia Romagna e altre regioni. “La Lombardia è un posto che ha spalancato le porte alla mafia, e ci fa affari. Lo dobbiamo dire perché altrimenti non ne usciremo mai”, ha dichiarato la magistrata.

La Svizzera, allo stesso modo “è un territorio di conquista molto interessante, dove le nostre mafie investono terribilmente”, ha aggiunto Cerreti, ricordando come attraverso i confini elvetici siano passati “traffici di armi e di droga, ma anche il denaro e i latitanti”, con le connivenze dei “colletti bianchi”. Il quadro normativo, nella Confederazione, col tempo si è evoluto proprio per punire con maggiore severità le organizzazioni criminali, come ha spiegato anche il giudice Roy Garré durante il convegno.

Ma oltre ai progressi normativi, “serve anche un grande passo avanti culturale”, ha affermato Cerreti. L’organizzazione criminale più pericolosa oggi è la ‘ndrangheta, che grazie anche al traffico di cocaina si è arricchita al punto che “oggi il suo problema è dove mettere i soldi”, ossia dove riciclare denaro. La ‘ndrangheta oggi “è come una grande holding con la testa in Calabria e strutture locali in tutto il mondo, Svizzera compresa”, ha osservato.

Di fronte a questo fenomeno, l’unica soluzione possibile è la “coordinazione” tra le autorità giudiziarie dei diversi Paesi, per superare quei confini che le organizzazioni criminali hanno già attraversato.

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