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La nuova immigrazione italiana in Svizzera

Lavoratori italiani in Svizzera, tra luci e ombre

Il matematico italiano Alessio Figalli, professore al Politecnico federale di Zurigo.
Alessio Figalli ha vinto nel 2018 la medaglia Fields, il maggiore riconoscimento per la matematica, pari al Nobel. Nato a Roma 36 anni fa, Figalli dal 2016 è docente al Politecnico di Zurigo. © Keystone / Gaetan Bally

Le persone immigrate dall’Italia negli ultimi anni sono in maggioranza soddisfatte dell’esperienza elvetica, ma non mancano aspetti critici. È il risultato di un nuovo studio intitolato Gli italiani nelle migrazioni in Svizzera che approfondisce le caratteristiche di un fenomeno ancora poco conosciuto e analizza gli ultimi vent'anni di politiche migratorie in Svizzera. 

La migrazione italiana ha segnato il Novecento elvetico e ha influenzato fortemente molti ambiti della società svizzera. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta, il numero di italiani e italiane in Svizzera ha cominciato a calare a causa dei ritorni in patria e delle naturalizzazioni. L’Italia, a quell’epoca, ha cominciato a diventare paese d’immigrazione e la Confederazione non sembrava avere più quel forte potere attrattivo di un tempo. Negli anni Novanta in Svizzera, inoltre, è sopraggiunta una crisi che ha creato non poche difficoltà all’economia elvetica e disincentivato nuovi arrivi. Negli ultimi anni però le cose sono cambiate.

La Svizzera come meta prediletta

L’Italia è tornata a essere paese d’emigrazione: negli ultimi anni il numero di emigrati dalla Penisola supera regolarmente quello dei nuovi immigrati. I motivi di chi parte dall’Italia sono molti, ma la crisi economica del 2008 e le sue conseguenze sembrano essere una delle cause principali.

Le mete predilette dei nuovi migranti sono tutte europee: Gran Bretagna e Germania in primis, ma anche la Svizzera non è da meno.  Le statistiche ufficiali elvetiche lo confermano: l’immigrazione dall’Italia è tornata a livelli che non raggiungeva più da decenni. La curatrice dello studio, Rosita Fibbi, sociologa, ci fornisce alcuni numeri: “Nell’ultimo decennio dello scorso secolo, gli arrivi provenienti dalla Penisola si attestavano in media sotto alle 5’000 unità annue.

Nel decennio dopo i livelli sono risaliti intorno alle 10’000 unità annue. In questi ultimi anni si è verificato un ulteriore aumento: nel 2014 gli arrivi sono quasi quadruplicati, raggiungendo addirittura quota 19’000 unità. Se nel 1991, gli ingressi provenienti dall’Italia erano circa il 7% del totale degli ingressi internazionali, nel 2019 sono saliti al 10% circa. Il saldo migratorio, negativo durante tutti gli anni Novanta e i primi anni 2000, è tornato positivo a partire dal 2007. Nel 2019 si è attestato attorno a +7’000 unità, pari al 16% del saldo migratorio totale svizzero”.

Nel loro volume, Rosita Fibbi e il demografo Philippe Wanner sono riusciti nell’intento di colmare alcune lacune nell’ambito della ricerca sulla migrazione italiana prendendo in considerazione, oltre alle statistiche ufficiali, anche un’importante indagine sul campo condotta nell’ambito del Polo di ricerca nazionale Nccr – on the move: la Migration-Mobility Survey, che ha coinvolto un campione di circa 6’000 persone nel 2016 e uno di circa 7’700 persone nel 2017.

I profili di chi arriva

Questi nuovi dati hanno permesso di tracciare un profilo più completo della nuova migrazione italiana perché restituiscono informazioni relative, tra le altre cose, al livello di formazione, alla situazione prima della partenza, alla situazione famigliare, al livello di soddisfazione rispetto alla situazione professionale.

La nuova migrazione italiana in Svizzera è molto qualificata: più della metà (54%) è in possesso di una laurea

La nuova migrazione italiana in Svizzera è molto qualificata se la si compara ai livelli d’istruzione della società italiana: più della metà degli italiani e delle italiane che arrivano in Svizzera (54%) sono in possesso di una laurea.

È più qualificata anche rispetto ai livelli d’istruzione degli italiani che si trasferiscono in altri paesi. Chi arriva in Svizzera spesso ha già alle spalle un’esperienza di migrazione in un altro paese e molti arrivano nel paese già con un contratto (40%). Per Rosita Fibbi si tratta indubbiamente “di una migrazione molto più qualificata rispetto a quella del secondo dopoguerra che risponde a un contesto economico profondamente cambiato negli ultimi decenni.

La Svizzera ha vissuto una forte deindustrializzazione, un aumento delle realtà produttive altamente specializzate e un rafforzamento ulteriore della piazza finanziaria”. Tuttavia, anche qui, non emigrano soltanto laureati. I laureati stessi, anche se molto preparati, non è poi detto che riescano a trovare una posizione lavorativa adeguata.

Per Cristina Franchi, studiosa del fenomeno nel contesto di Basilea e autrice di uno dei capitoli del volume, la migrazione italiana può essere suddivisa in tre macrocategorie: la migrazione iper-qualificata, laureata in materie scientifiche, che occupa posizioni dirigenziali; la migrazione con formazione terziaria umanistica, costretta spesso, a causa delle insufficienti conoscenze della lingua locale, a scendere a compromessi rispetto alle proprie qualifiche e, infine, una migrazione poco qualificata che non è tanto diversa da quella tradizionale.

Quest’ultimo tipo di migrazione è meno visibile nella sfera pubblica rispetto alle altre tipologie, complici anche i media, ma è molto più diffusa di quanto ci si aspetti. Spesso viene in Svizzera riattivando le classiche catene migratorie parentali o amicali. Talora, soprattutto in caso di mancanza di appoggi sul territorio, si ritrova in situazioni spiacevoli dal punto di vista lavorativo o esistenziale. Il lavoro nero, in particolare, sembra caratterizzare alcune delle esperienze della nuova migrazione italiana e spesso, nella parte di chi viola la legge, ci sono imprenditori di nazionalità o origine italiana.

Il problema delle donne

I dati a disposizione dei ricercatori hanno permesso di capire quale sia il livello di soddisfazione della nuova migrazione italiana.

Sono le donne, soprattutto se emigrano per motivi di famiglia, a trovare molti problemi sul mercato del lavoro

L’80% circa degli intervistati dichiara di aver migliorato la propria situazione lavorativa rispetto all’Italia. Il 90% si dichiara soddisfatto della posizione occupata in Svizzera. Più dell’80% degli intervistati dichiara di avere un contratto a tempo indeterminato.

Emigrare in Svizzera significa quindi, per molti, maggiore stabilità rispetto all’Italia e un salto di qualità occupazionale Questi dati non devono però far dimenticare alcuni dei problemi che riscontra la nuova migrazione italiana. Sono le donne, soprattutto se emigrano per motivi di famiglia, a trovare molti problemi sul mercato del lavoro. Proprio i motivi famigliari, nel caso delle donne, superano quelli professionali nella scelta di emigrare.

I dati parlano chiaro secondo Rosita Fibbi: “soltanto il 77% delle donne italiane in Svizzera ha un lavoro, una percentuale molto inferiore rispetto alle altre donne provenienti da un paese dell’UE (87 %). Le donne italiane soffrono anche in termini di precarietà: il 16% di loro ha un contratto a termine, contro l’8% degli uomini. Anche la disoccupazione femminile italiana è 3 volte superiore rispetto a quella maschile. Per loro anche il lavoro nero sembra un problema (2,2%). La scelta di emigrare non è sempre sinonimo di emancipazione: le donne occupate solo in casa e in famiglia erano 13% prima della partenza, in Svizzera salgono invece al 18%”.


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