Perché alcune donne vogliono partorire da sole
Diverse donne vogliono un parto senza medico o levatrice, voltando le spalle al sistema sanitario, e molte condividono le loro storie sui social media.
Il numero di donne che decidono di avere un parto non assistito è in aumento e anche in Svizzera, un Paese che ha uno dei sistemi sanitari più costosi al mondo, c’è un numero crescente di aderenti al movimento del “freebirth”, sottolinea un approfondimento della SRFCollegamento esterno (radio svizzera di lingua tedesca).
La giornalista Vanessa Ledergerber, per la serie podcast “Das Birthkeeper SystemCollegamento esterno”, ha parlato con diverse donne svizzere che hanno deciso di partorire da sole.
Le ragioni di un parto non assistito
Le motivazioni dietro questa decisione sono varia: per Sue Strack, ad esempio, è stato chiaro da subito che voleva essere l’unica responsabile del parto. Non ha effettuato esami preliminari durante la gravidanza e ha dato alla luce la figlia da sola a maggio.
La 31enne avrebbe voluto dare alla luce anche il primo figlio senza assistenza, ma il parto si è concluso con un taglio cesareo d’urgenza all’ospedale. Un’esperienza che l’ha traumatizzata, afferma Strack, che si sente più sicura con una nascita non assistita.
La donna scambia regolarmente idee con altre freebirther: “Per me è prezioso circondarsi di persone che vanno nella stessa direzione e che si incoraggiano a vicenda”.
Una nascita in auto
Anche Rahel Betschart fa parte della comunità del parto libero. La 36enne ha sei figli, l’ultimo dei quali ha partorito da sola a casa, nonostante la sua ex ostetrica glielo avesse sconsigliato. Tuttavia, un precedente parto in solitaria, non programmato, avvenuto in auto, le ha fatto capire che era la cosa giusta per lei: “È stata un’esperienza straordinaria per me avercela fatta senza aiuto. Ho capito che nessuno può fare il parto al posto tuo”.
Nella cosiddetta “Freebirth Society” è diffusa l’idea che un parto autodeterminato in ospedale o in presenza di professionisti medici non è possibile e che si verifichino inevitabilmente interventi e abusi.
Una scelta per un sentimento di impotenza?
“Non è la mia esperienza”, risponde il ginecologo e ostetrico Werner Stadlmayr. Anche in ospedale è possibile vivere un parto naturale in cui si tiene conto delle esigenze della donna. Ritiene che le madri decidano di partorire da sole perché si sentono impotenti di fronte al sistema: “Ma il sistema non è così duro come si potrebbe pensare”. Stadlmayr però aggiunge: “Se durante un parto in ospedale una donna non riesce più a sentirsi se stessa perché è soggetta a regole severe, perché le viene somministrata una flebo e le viene aperto il sacco amniotico, allora è pericoloso. Speriamo che oggi non sia più così”.
Secondo Stadlmayr, è fondamentale che si possa intervenire in modo appropriato in ogni situazione: “Che si possa decidere al momento giusto se una donna debba essere ricoverata in ospedale, anche nel caso di un parto in casa”.
Gli esperti sconsigliano i parti non assistiti
Werner Stadlmayr sconsiglia il parto non assistito, così come la Società svizzera di ginecologia e ostetricia. Anche Barbara Stocker, presidente della Federazione svizzera delle levatrici, afferma: “Consiglio a ogni donna di far assistere al parto almeno una levatrice. Anche se non deve fare nulla, è una sicurezza in caso qualcosa vada storto e può prendere le prime misure mediche”.
Stocker, già nel 2018, aveva previsto che le nascite non accompagnate sarebbero potute aumentare. Anche se non ci sono dati a disposizione, osserva che stanno diventando sempre più un argomento di discussione, soprattutto sui social media.
Non va dimenticato che nel mondo ogni due minuti muore una donna per complicazioni dovute alla gravidanza o al parto. Stocker fa riferimento ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): “In generale, la mortalità materna è più bassa dove sono garantite le cure mediche e l’assistenza ostetrica”.
Anche se sono poche le donne che intendono dare alla luce i figli da sole, Stocker ritiene importante chiedersi perché non vogliano un’assistenza medica al parto.
Ostetriche al limite?
Non tutto fila liscio nei reparti di maternità svizzere. Da tempo l’associazione delle levatrici richiama l’attenzione sul fatto che in ostetricia manca il personale e quindi non sempre si tiene sufficientemente conto delle esigenze individuali.
“L’assistenza è molto frammentata, sono coinvolte molte persone e il personale è limitato”, afferma Stocker. Il fatto che si verifichino esperienze di parto traumatiche e che le donne per questo motivo si allontanino deve essere preso sul serio, afferma la presidente della federazione.
Esperienze di parto traumatiche
Le esperienze traumatiche durante il parto emergono spesso quando le donne spiegano i motivi che le hanno spinte a pianificarne uno non assistito.
Molti specialisti, come Barbara Stocker e Wener Stadlmayr, si impegnano per un parto autodeterminato con pochi interventi. Tuttavia, il fatto che possano verificarsi esperienze traumatiche durante il parto è una realtà anche in Svizzera..
In un sondaggio condotto dalla Scuola universitaria professionale di BernaCollegamento esterno su 6’000 donne, più di una su quattro ha dichiarato di aver subito pressioni durante il parto. Si sono sentite informate unilateralmente, intimidite o non erano d’accordo con una decisione di trattamento. Un’intervistata su dieci ha riferito di commenti offensivi o sprezzanti nei loro confronti da parte del personale medico.
Una comunità per il parto non assistito
I numerosi profili Instagram, canali YouTube e podcast della comunità Freebirth, pullulano di storie di parti positive e di resoconti di esperienze di nascita curative.
Non solo viene trasmessa un’immagine positiva del parto non assistito, ma ci si guadagna anche: in rete si trovano offerte di coaching per il parto in solitaria o di corsi di formazione per i cosiddetti birthkeeper. Queste figure sostengono le donne che partoriscono da sole e vogliono trasmettere le proprie conoscenze.
Non si tratta di una formazione medica. Birthkeeper non è un titolo protetto e non è integrato nella legge sulle professioni sanitarie. A differenza delle doule, ad esempio, non esiste un codice etico.
Mélanie Levy, esperta di diritto sanitario e codirettrice dell’Istituto di diritto sanitario di Neuchâtel, ritiene problematico dal punto di vista giuridico il sostegno ai parti non assistiti da parte dei birthkeeper. Non è chiaro come queste figure possano essere ritenute responsabili se dovesse accadere qualcosa durante il parto. Anche perché i parti non assistiti non sono documentate. “I birthkeeper si muovono in una zona grigia dal punto di vista legale”, afferma Levy.
Il corso per diventare birthkeeper costa circa 5’000 euro. Questo è quanto pubblicizzato sui siti che offrono questi corsi di formazione. Un sacco di soldi, dice l’ostetrica Barbara Stocker: “In Svizzera vengono pagate tutte le spese di maternità e le prestazioni delle ostetriche. Trovo queste offerte problematiche, anche perché per motivi economici non sono aperti a tutte le donne”.
Nella bolla del freebirth
È improbabile che le preoccupazioni di Stocker vengano ascoltate dai convinti sostenitori del movimento freebirth, che vogliono liberarsi dai presunti vincoli del sistema. Alcuni descrivono il parto come un “atto di disobbedienza civile”, in altre parole, una forma di protesta volta a infrangere deliberatamente le regole della società. Con ciò intendono la propria dissociazione dal sistema sanitario statale. Il movimento ha un sapore politico, ma anche spirituale.
Ma quanto è libera di decidere una donna se si trova sola di fronte all’idea che solo un parto non assistito può essere autodeterminato? “Penso che si venga influenzati, forse anche messi sotto pressione in qualche misura”, sospetta Barbara Stocker. I freebirthers dicono di no. Vivono lo scambio con la loro comunità e la crescente rete di sostenitori del freebirth come un fatto positivo e arricchente.
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