Italia non vuol dire mafia, ma anti-mafia
Molti docenti di lingua e cultura italiana in Svizzera sono attualmente coinvolti nel progetto legalità, volto a sensibilizzare i più giovani sul tema della criminalità organizzata. L'iniziativa ha anche lo scopo di lottare contro lo stereotipo che accomuna l'essere italiano all'essere mafioso.
Una fredda mattina di febbraio, un gruppo di docenti di lingua e cultura italiana si incontra in un edificio nei pressi del ponte di Monbijou. a Berna. A prima vista si potrebbe pensare a una normale riunione di perfezionamento professionale, durante la quale ci si scambia materiale didattico, idee e dubbi sul modo di affrontare un determinato tema con gli allievi.
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La lotta contro la mafia passa dai banchi di scuola
In effetti è proprio così, ma la natura e la delicatezza dell’argomento trattato rende tutto diverso. Questi docenti, nel loro piccolo, stanno dando il loro contributo alla lotta alla mafia.
L’incontro ha luogo nell’ambito del progetto legalità, organizzato dai comitati degli italiani all’estero (Comites) di Berna, Basilea, Neuchâtel e Zurigo, in collaborazione con l’ambasciata d’Italia e finanziato dal ministero degli esteri italiano.
Sensibilizzazione e prevenzione sono le parole che meglio descrivono lo scopo di questa iniziativa, volta a combattere la criminalità organizzata nella Confederazione già sui banchi di scuola, una lotta che si trova di fronte anche a diverse reticenze.
Prima fra tutte, l’idea che in Svizzera la mafia non sia un grande problema e non attecchisca. Eppure le prove che sia presente e radicata da decenni ci sono.
Dall’eroina alla cocaina
A ricordarlo ai docenti presenti è stata Marina Frigerio, psicologa dell’età evolutiva che da diversi anni lavora sul tema dell’influsso della mentalità mafiosa sui bambini e sugli adolescenti. Ha raccontato che negli anni ’90 la lingua franca nei luoghi dove si spacciava eroina a Zurigo era l’italiano. Lei stessa ha conosciuto molti giovani resi schiavi della droga durante le loro vacanze in Italia. Giovani che, rientrati in Svizzera, sono stati costretti a spacciare e prostituirsi per potersi pagare la dose.
“Ora il periodo dell’eroina è finito. È arrivata la cocaina”, ha proseguito Frigerio, “Molti ne fanno uso, anche molti genitori dei vostri allievi. All’inizio li fa sentire forti e finanziare una tiratina ogni tanto non è un problema. Ma poi, poco alla volta, subentra la dipendenza e si entra in un circolo vizioso. Si comincia a spacciare e a contrabbandare per finanziare il consumo. A ricorrere ai cravattari. Si diventa ricattabili”.
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Quali strategie per lottare contro la criminalità organizzata?
La droga è solo uno degli strumenti e delle fonti di reddito della mafia in Svizzera, dove è particolarmente forte la ‘ndrangheta calabrese. Gli affari sono anche nel traffico di armi e in quello di esseri umani, non solo prostituzione, ma anche manodopera: operai sfruttati in seno a ditte che subappaltano lavori in cantieri molto importanti.
Hanno poi le mani nella finanza, con una grande presenza nel settore immobiliare. Comprano case, ristoranti, pizzerie,…
Per potersi inserire nella società, la criminalità ha bisogno di agganci. “I giovani italiani occuperanno o già occupano ruoli che richiamano un’enorme attenzione da parte delle realtà criminali, le quali hanno interesse ad esempio a riciclare il denaro”, ha spiegato Umberto Castra, pedagogista sociale e coordinatore dell’incontros.
È dunque importante “vaccinare” fin da piccoli i ragazzi affinché confrontati a determinati stimoli rispondano in maniera negativa.
Italiano dunque mafioso? No!
C’è sostegno al progetto da parte della comunità italiana, ma di tanto in tanto si leva anche qualche voce critica. Gli italiani all’estero, non solo in Svizzera, sanno bene quanto sia diffuso lo stereotipo dell’italiano mafioso. Alcuni temono dunque che l’iniziativa rinforzi dei cliché che danneggiano l’immagine del paese.
In realtà, è esattamente il contrario, spiega Mariachiara Vannetti, insegnante nonché presidente dei comites di Berna e Neuchâtel.
“Si arriva a scherzare con il termine di mafia”, spiega. “Ci sono ristoranti o addirittura gruppi musicali il cui nome fa riferimento a Cosa Nostra o alla mafia. Questo vogliamo spazzarlo via”.
Il messaggio che si vuole far passare tramite il progetto legalità è anche questo: l’Italia è il più grande paese di anti-mafia. Dal punto di vista legislativo, ma anche da quello dalla risposta sempre più forte della popolazione al fenomeno della criminalità organizzata.
“Bisogna far capire che l’Italia può offrire un’esperienza straordinaria di legalità e anti-mafia”, ha detto. Un’esperienza dalla quale gli altri paesi possono prendere esempio per lottare contro tutte le criminalità organizzate, non solo quella italiana.
“Non bisogna nascondere i problemi sotto il tappeto”, ha insistito Vannetti. “Le istituzioni che rappresentano gli italiani all’estero hanno il dovere di parlarne e di aiutare le nuove generazioni a rifiutare l’illegalità”.
L’Italia, insomma, non è solo il paese di Totò Riina ma anche, e soprattutto, quello di Giovanni Falcone.
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