La pandemia vissuta dietro le casse
Misure di sicurezza e turni più pesanti. Le testimonianze dei lavoratori di supermercati e alimentari che non si sono mai fermati.
Il coronavirus ha cambiato nel giro di pochissimo tempo le abitudini delle persone. Nella nuova quotidianità durante la pandemia, i supermercati sono rimasti una delle poche certezze per la popolazione. “I negozi di alimentari sono e rimarranno aperti. Non c’è motivo di farsi prendere dal panico”, aveva assicurato la presidente della Confederazione, Simonetta Sommaruga, il 13 marzo, tre giorni prima della chiusura generalizzata in Svizzera.
E così, mentre al resto della popolazione veniva chiesto di restare a casa, cassieri, commessi, panettieri e tanti altri (assieme ad altre categorie professionali come medici e infermieri) hanno continuato a lavorare. In alcuni casi più di prima. La chiusura delle frontiere, infatti, ha portato un maggior numero di clienti alla grande distribuzione e ai negozi di alimentari locali. In Ticino, in particolare, secondo alcune stime degli addetti del settore, su dieci persone che prima andavano a fare la spesa in Italia, sei o sette si sono rivolte ai supermercati più economici, quali Lidl o Aldi.
La pressione su questi ultimi, ma in generale su tutti i punti vendita, è aumentata. E così, oltre a dover applicare e far applicare ai clienti le nuove misure di sicurezza, i collaboratori, in molti casi, si sono visti anche aumentare i carichi di lavoro, con turni fino a 12 ore per diversi giorni alla settimana. Anche grazie a questo impegno è stato sempre possibile avere a disposizione frutta, verdura, pane, pasta e beni di prima necessità, anche nella fase più acuta della pandemia.
Ora che l’emergenza sembra essere alle spalle, abbiamo chiesto ad alcuni di loro cosa è significato vivere la pandemia da dietro a una cassa, infornando il pane, riempiendo gli scaffali o consegnando la spesa a domicilio.
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