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La libera circolazione blocca l’accordo

Il presidente della Confederazione Guy Parmelin.
Il presidente della Confederazione Guy Parmelin mentre spiega la posizione della Svizzera. Keystone / Peter Klaunzer

Svizzera e Unione Europea hanno una visione fondamentalmente diversa della libera circolazione delle persone: Berna l'associa alla mobilità dei lavoratori e delle loro famiglie, mentre per Bruxelles concerne tutti i cittadini dell'Unione. La questione rappresenta pertanto, nel quadro delle trattative per il mantenimento di una via bilaterale, il nodo più difficile da sciogliere.

Se la concezione svizzera cedesse il passo a quella europea, potrebbero ad esempio subentrare dei cambiamenti di alcuni diritti precedentemente acquisiti. Ne è un esempio il permesso di domicilio che è attualmente concesso ai cittadini di 15 Paesi europei dopo cinque anni di residenza e rispettivamente dieci per chi proviene da Stati divenuti membri dell’UE posteriormente.

La direttiva sulla cittadinanza europea prevede invece un tempo d’attesa di cinque anni. Inoltre, i lavoratori che perdono il lavoro durante il primo anno di soggiorno in UE hanno diritto a 6 mesi di aiuti sociali, in Svizzera no.

Il Consiglio federale teme quindi che una cattiva pianificazione degli accordi comporti la perdita di controllo sui diritti dei cittadini europei. Questa sembrerebbe pertanto la ragione per cui Berna spende molte energie nelle trattative sul tema, sebbene sia il meno citato nell’accordo.

In tal senso, la Svizzera parrebbe temere anche possibili ingerenze in materia da parte della Corte di giustizia europea.

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tvsvizzera.it/fra con RSI


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