Il regista del film su Credit Suisse rivela di aver ricevuto pressioni per non girarlo
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Simon Helbling, regista del documentario "Game Over - Il crollo di Credit Suisse", sostiene di essere stato oggetto di pressioni affinché non facesse il film.
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“Chiaramente, a volte in modo molto diretto”, afferma il 39enne rispondendo a una domanda sul tema nell’ambito di un’intervista pubblicata oggi da Le Temps. “Ma ho sentito molta più pressione a causa della responsabilità che un film del genere comporta: per la Svizzera è fondamentale parlare di ciò che è successo”.
“Quanto accaduto non è stato positivo per la Svizzera o per le persone coinvolte, ma per fare un film c’era materiale molto ricco”, prosegue l’artista sangallese. “Nella pellicola abbiamo mostrato le storie più forti o più terribili. La serie che uscirà in seguito le affronterà in modo più approfondito, con lo stesso arco narrativo”.
Nel documentario – che stasera verrà proiettato in anteprima ticinese al Lux di Massagno e che da domani è in normale programmazione in diverse sale – si parte dallo scandalo della filiale del Credito Svizzero di Chiasso nel 1977. Si parla poi dell’arrivo di Rainer Gut alla testa dell’istituto – in seguito ribattezzato Credit Suisse – e del lancio dell’espansione negli Usa. “La banca vi ha perso così tanto denaro in vent’anni che è stata una delle ragioni della sua scomparsa”, osserva nell’intervista un altro interlocutore, Arthur Rutishauser, caporedattore della SonntagsZeitung e giornalista investigativo che ha scritto la storia della vicenda per il film.
La prima del film nella Svizzera italiana in questo servizio del Telegiornale della RSI del 27 marzo 2025:
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“Un anno prima del crollo, la banca d’investimento avrebbe potuto essere venduta e il gruppo avrebbe potuto reggere, magari con l’aiuto della Banca nazionale”, afferma il cronista. “Ma per voltare pagina e risollevare l’istituto sarebbe stato necessario intervenire nel 2015 o nel 2016, quando è arrivato Tidjane Thiam. Inoltre, la banca ha iniziato a essere ridimensionata dal 2012. I costi erano troppo elevati rispetto all’attività, ma non si è mai deciso di chiudere certi comparti. La banca voleva fare tutto ma in quantità minori e assumendo più rischi, il che non era la strategia giusta”.
Secondo Rutishauser il rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta sul tracollo del secondo gruppo bancario elvetico – rilevato poi nel 2023 dal concorrente UBS grazie ad ampissime garanzie statali – ha portato alla luce molti elementi interessanti sui fatti, ma non ha attribuito alcuna responsabilità. “Le conclusioni non servono”, termina il giornalista.
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