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Banche, occorre rispondere al fisco italiano?

Cassette di sicurezza di una banca svizzera
Le banche svizzere confrontate con incessanti pressioni internazionali Keystone

Le banche svizzere devono rispondere alla richiesta di informazioni inoltrata negli scorsi mesi da Agenzia delle entrate e Guardia di finanza sulle attività svolte in Italia? In che misura gli operatori finanziari elvetici possono essere assimilati ai contribuenti italiani? Quali conseguenze amministrative e penali possono derivare da l’ultima vasta offensiva del fisco di Roma?

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A questi interrogativi ha cercato di rispondere l’incontro organizzato dal Centro competenze tributarie della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (Supsi) a Manno che ha visto la partecipazione di giuristi e commercialisti provenienti dai due lati della frontiera. L’iniziativa degli inquirenti del Belpaese, seguita dal “clamore sulla stampa, era del tutto preannunciata”, ha esordito l’avvocato commercialista milanese Raul Angelo Papotti. Dopo la Voluntary disclosure (VD), l’autodenuncia spontanea dei conti non dichiarati da parte dei contribuenti italiani del 2015 (prorogata nel 2017), il fisco ha infatti ottenuto importanti informazioni sull’operato degli istituti finanziari elvetici che gli sono stati forniti dagli stessi clienti che si sono regolarizzati.

Francesco Sbisà: “Sarebbe stato dire ai contribuenti che si volevano regolarizzare: Quello che dichiari potrà essere utilizzato contro di te e contro terzi”

Il tranello della Voluntary disclosure

E qui, ha osservato l’avvocato Francesco Sbisà, sorgono i primi problemi, poiché “sono state raccontate le storie” e con esse anche reati non coperti dalla collaborazione spontanea, come l’emissione di false fatture o l’omesso versamento di contributi previdenziali. “Il vero inganno della voluntary” lo possiamo riassumere come segue: “Ora che abbiamo tutte queste storie perché non utilizziamo la VD come database per potenziali indagini penali?”. Ed è esattamente quello che sta succedendo. Sarebbe stato invece corretto, continua l’avvocato milanese, dire ai contribuenti che si volevano regolarizzare: “Quello che dichiari potrà essere utilizzato contro di te e contro terzi”, perché non va dimenticato che sono stati indicati nomi (e tutta una serie di informazioni circostanziate) precedentemente sconosciuti al fisco.

Ma considerato che il danno, in questa prospettiva, è ormai stato fatto, alle banche come conviene comportarsi? “È meglio rispondere” al questionario inviato da Roma “ma il problema è come rispondere”, sottolinea sempre Francesco Sbisà. In effetti dall’incontro a Manno sembra emergere la conclusione che non vi sia una risposta chiara e univoca per tutte le situazioni. La materia è particolarmente intricata, norme interne italiane divergono rispetto ad alcune disposizioni convenzionali – in particolare con la Convenzione italosvizzera contro la doppia imposizione – e l’orientamento della giurisprudenza non è sempre lineare.

Il requisito della stabile organizzazione

Di sicuro, avverte la commercialista luganese Arianna Bonaldo, il fisco italiano ha tutti gli strumenti giuridici per tassare i proventi da capitale di cui beneficiano soggetti non residenti in Italia: “Sulla parte degli interessi è difficile contestare l’orientamento dell’Agenzia delle entrate”. L’articolo 11 della Convenzione italosvizzera contro la doppia imposizione del 1976 certifica in proposito “che non c’è una capacità impositiva esclusiva ma concorrente della Svizzera” (limitata generalmente al 12,5%) e oltretutto la definizione di interessi è molto ampia e tale da ricomprendere redditi da capitale e commissioni percepiti dagli istituti svizzeri sui clienti italiani.

Ma il requisito su cui indagano le autorità italiane per equiparare in tutto e per tutto le banche svizzere ai contribuenti del Belpaese – e che pur essendo controverso ha riflessi ben più rilevanti – è quello della “stabile organizzazione”, enunciato sempre all’articolo 11 della Convenzione e che presuppone una “significativa e continuativa presenza economica”, come recita l’articolo 162 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir) italiano. In proposito l’approccio del fisco italiano è estensivo, soprattutto dopo le recenti modifiche apportate dalla Legge di bilancio 2018 che vengono ritenute compatibili con l’indirizzo portato avanti a livello OCSE (e più precisamente con l’articolo 5 del modello di Convenzione Ocse).

Al riguardo, sottolinea sempre Arianna Bonaldo, le banche dati a disposizione degli inquirenti, soprattutto dopo che è operativo lo scambio automatico di informazioni, sono tantissime, più di 180. “Stanno utilizzando i trasferimenti di residenza Aire, l’anagrafe tributaria, le segnalazioni di istituti finanziari e assicurativi e il fascicolo Aml (antiriciclaggio) e hanno accesso alla documentazione dei professionisti” per risalire a strutture estere che rientrino nei parametri di stabile organizzazione. Ma per il momento gli uffici dell’Agenzia delle entrate “sono molto compiacenti e stanno cercando di venire incontro ai contribuenti: i 20 giorni per le risposte ai questionari fiscali non sono tassativi”.

Paolo Bernasconi: “L’obbligo del segreto bancario, così come indicato all’articolo 47 della Legge sulle banche, è tuttora previsto e continua a generare fratellini e sorelline”

Segreto bancario e obbligo di riservatezza

Il quesito in sospeso in tutta questa vicenda riguarda la visuale elvetica. Fino a che punto le banche devono ritenersi soggette al fisco di uno stato estero? “Anche se non c’è più il segreto bancario gli obblighi di riservatezza restano ampi”, sottolinea l’avvocato luganese Paolo Bernasconi. L’obbligo del segreto bancario, così come indicato all’articolo 47 della Legge sulle banche, è tuttora previsto e “continua a generare fratellini e sorelline”. Sono infatti aumentate le eccezioni nei confronti delle procedure fiscali straniere e il parlamento svizzero, dopo la vendita dei dischetti al fisco tedesco, ha espressamente previsto la punibilità della ricettazione provento di comunicazioni bancarie.

Ma poi la prassi, soprattutto dopo la vertenza con gli USA, è un’altra e il tipico impianto svizzero è stato “bypassato”. “Sull’articolo 271 del codice penale (Atti compiuti senza autorizzazione per uno Stato estero) il Consiglio federale ha chiuso gli occhi ma ci si è dimenticati dell’articolo 273 (Spionaggio economico)”, sentenzia Paolo Bernasconi per il quale il Tribunale federale è “molto generoso” verso il fisco estero: “L’Amministrazione federale delle contribuzioni è favorevole alle richieste inoltrate dagli altri paesi, i tribunali ordinari le bloccano e il Tribunale federale accoglie i ricorsi dell’AFC”.

Quindi, per riassumere, dal seminario è emerso che tendenzialmente viene raccomandata una risposta al fisco italiano da parte delle banche, anche se poi andrebbe valutato caso per caso. E soprattutto viene auspicato un intervento della politica per risolvere le zone grigie che consentono sconfinamenti che non fanno l’unanimità.

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