Parlamento svizzero contro l’abolizione del canone radiotelevisivo
Il Parlamento elvetico ha raccomandato di votare contro l'iniziativa popolare per l'"abolizione del canone Billag", tramite il quale è finanziata la Radiotelevisione svizzera, senza opporle un controprogetto. Dopo un lungo dibattito, iniziato due settimane fa e conclusosi lunedì, la camera bassa si è allineata a quanto deciso in marzo dalla camera alta.
La destra svizzerotedesca, molto critica nei confronti dell’azienda radiotelevisiva di servizio pubblico, la SSR, non è riuscita a convincere il Consiglio Nazionale a imporre tagli al canone.
Il controprogetto indiretto, che chiedeva di tagliare almeno della metà i soldi del canone, è stato bocciato con 108 voti contro 70 e 2 astenuti. L’iniziativa stessa è stata respinta più nettamente con 122 voti contro 42 e 15 astenuti.
Presto una votazione
Quest’ultimo testo, depositato dall’Associazione “No Billag” nel dicembre 2015 con 112’191 firme valide, prevede che la Confederazione non possa riscuotere canoni, né sovvenzionare o gestire emittenti radiofoniche o televisive. Se l’iniziativa venisse accettata, le attuali concessioni con partecipazione al canone verrebbero revocate senza indennizzo.
L’esito della votazione popolare, che potrebbe tenersi già il prossimo 4 marzo, solleva numerosi timori tra i difensori della SSR. Il “sì” di misura alla riforma del canone radio-tv nel giugno del 2015 ha fatto trapelare un certo malumore in seno alla popolazione. Secondo diversi parlamentari democentristi, ciò è dovuto all’arroganza e alla politicizzazione di quella che definiscono “radiotelevisione di Stato”.
Il canone radiotelevisivo in Svizzera ammonta attualmente a 451,10 franchi per nucleo famigliare. Con la sua generalizzazione, la fattura dovrebbe abbassarsi a meno di 400 franchi entro il 2019.
Le imprese con una cifra di affari superiore a 500’000 franchi potrebbero invece doverne spendere fino a 39’000.
Nel 2015, il canone ha fruttato 1,35 miliardi di franchi (senza IVA). La parte della SSR è stata di 1,235 miliardi. Il resto è andato alle emittenti locali e regionali.
L’iniziativa popolare “Sì all’abolizione del canone radiotelevisivo (Abolizione del canone Billag)” priverebbe il servizio pubblico di questa somma. Quale alternativa all’iniziativa una minoranza di destra proponeva di limitare il canone a 200 franchi per economia domestica ed esentarne le aziende.
Questo controprogetto diretto, già bocciato dalla commissione preparatoria con 15 voti contro 10, non ha convinto la maggioranza del plenum. A sostenerlo in aula sono stati soprattutto esponenti dell’Unione democratica di centro (destra conservatrice).
“Monopolio di Stato”
“La SSR non è stata creata per diffondere serie televisive americane, il che può essere fatto anche da emittenti private. Deve concentrarsi sul servizio pubblico stricto sensu”, ha affermato Gregor Rutz (UDC). Alcuni suoi colleghi di partito hanno inoltre denunciato un quasi-monopolio di Stato con un’offerta uniforme che impedisce alla concorrenza privata di esistere.
Una volta bocciato il controprogetto, una parte della destra ha allora sostenuto invano l’iniziativa popolare. Il consigliere nazionale Jean-François Rime (UDC), che è pure presidente dell’Unione svizzera delle arti e mestieri (USAM), ha per esempio già dichiarato che verrà condotta una vera campagna in favore del testo. A suo avviso, è inaccettabile che i titolari di un’azienda debbano pagare 200 milioni di franchi di canone.
“No a uno smantellamento”
Diversi parlamentari che si oppongono al testo non vogliono lanciarsi in un’operazione di smantellamento della SSR e del servizio pubblico radiotelevisivo. “Le conseguenze finanziarie sarebbero catastrofiche e la SSR dovrebbe chiudere numerose sedi a scapito delle regioni periferiche”, ha sottolineato Martin Candinas, del Partito popolare democratico, di centro.
Anche le radio-tv locali ne patirebbero, ha sostenuto il suo collega Daniel Brélaz (Verdi). A soffrirne saranno pure la qualità dell’offerta, il dibattito democratico, nonché la trasmissione di eventi sportivi, è stato rilevato.
Altri oratori hanno messo in guardia da uno smantellamento del servizio pubblico audiovisivo, perché si corre il rischio di affidare il suo ruolo essenziale di coesione nazionale ad aziende tedesche, francesi e italiane. Grazie a una perequazione interna alla SSR, le minoranze francofone e italofone ricevono una percentuale del canone proporzionalmente più elevata di quella che percepisce la Svizzera tedesca, hanno sottolineato vari oratori succedutesi alla tribuna tra il 14 settembre e lunedì. Senza l’attuale ripartizione del canone non vi sarebbe più una radio-tv in lingua romancia, ha ammonito Duri Campell (Partito borghese democratico, centro-destra).
“Berlusconizzazione”
Altri parlamentari hanno pure evocato una possibile “berlusconizzazione” e un serio colpo inferto alla produzione cinematografica svizzera. A loro avviso, la diversità culturale e linguistica è in gioco e si corre il rischio che i telespettatori paghino un conto salato per vedere le trasmissioni.
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